
Torna il Tipicamente Wine Club – Sezione Campania con la quarta serata, “Aglianico del Vulture: zone, stili, interpreti”. Un’ampia “diagonale” con assaggio alla cieca di 21 vini, 10 aziende e 9 annate (2014 la più recente, 1997 la “meno giovane”).
Più complicato del solito estrapolare un resoconto lineare ed organico, e a pensarci bene non poteva che essere così. Il Vulture è davvero vulcano: esplode, erutta, travolge e sommerge, cristallizza tipo calchi di Pompei, affratella e separa – ogni pezzo di terra un’isola – e cova continuamente sotto la cenere.
Il meglio c’è ma spesso resta nascosto, in Basilicata. Del resto per vederlo bisognerebbe essere lì a guardare ed ascoltare giorno per giorno, e Cristo è più che mai fermo ad Eboli. Un fermento finalmente capace di venire a patti con l’accettazione, che non è per forza fatalismo e bordeggia la consapevolezza molto più di quanto ce ne si renda conto. Comprensione del fatto che gli anni ’90 sono stati un bellissimo sogno, ma l’ora di voltare pagina è abbondantemente alle spalle: a ciascuno la scelta di come farlo e con quali obiettivi concreti.
La “notizia”, per quanto mi riguarda, è questa: pur con tutti i ritardi e le difficoltà si intravede una squadra tra Barile e dintorni. Rinnovata, non solo da un punto di vista generazionale. Che potrebbe e dovrebbe osare di più, certamente, ma capace pian piano di puntellare quantomeno la difesa. Ricorrendo spesso al catenaccio, leggi il numero ancora consistente di aglianico faticosi, impersonali, confezionati, zavorrati, pesantemente diluiti nella loro identità territoriale. Eppure ugualmente capaci di scoccare scintille di energia, perfino là dove la ricetta tecnica vorrebbe invece imbrigliarle, sedarle e trasfigurarle.
A poco servono 70 menzioni geografiche aggiuntive e dieci masterclass su comuni, cru, terreni, altitudini e compagnia se la mappa espressiva dei rossi vulturini è disegnata prima di tutto da ricorrenti famiglie stilistiche. Non necessariamente un male, intendiamoci, poiché si aprono praterie per chi sceglie di esplorare strade meno battute e fidelizzare un proprio pubblico. Ma in ogni caso un limite, quantomeno al momento, per chi vuole divertirsi con zonazioni e gerarchizzazioni “alla francese” un minimo credibili, realmente ancorate al bicchiere.
Poca teoria e molta in pratica in queste occasioni, insomma: naturale e saggio che sia così. Cominciamo a capire quali sono gli Aglianico del Vulture con cui entriamo in piena sintonia, anche solo episodicamente, e da lì forse un giorno ricostruiremo specifici identikit territoriali e millesimali. Del resto orizzontali complete sono possibili solo a distanza di tempo, e non si cambia da un giorno all’altro uno scenario produttivo e commerciale tanto frastagliato.
Chi vuole restare aggiornato sui rossi della zona sa che deve fare i conti con nuove uscite provenienti da almeno 4-5 annate diverse, trovando fianco a fianco nella stessa vendemmia vini base, linee per banchettistica e gdo, selezioni intermedie, riserve, top di gamma da appassimento, e chi più ne ha più ne metta. Succede anche da altre parti, vedi Taurasi e mondo Aglianico in generale, ma nel mercato globale di oggi mal comune non è mezzo gaudio.
Ecco allora qualche impressione sintetica sulle bottiglie trasversalmente apprezzate dalla tavolata, seguite dal riepilogo completo dei vini assaggiati, batteria per batteria. Eventuali altre note su richiesta, come si dice in questi casi.
Grifalco – Aglianico del Vulture Gricos 2014
Tutto sul frutto, quasi vinoso, beva agile senza rinunciare agli spigoli e a qualche approfondimento di fumo e sottobosco. Un vino di impianto semplice, ma al tempo stesso significativo in un distretto che per anni ha colpevolmente trascurato le cosiddette etichette d’entrata, spesso somiglianti a dei “vorrei ma non posso”. Non c’è bisogno di una bistecca di brontosauro per stappare il Gricos, insomma, e a me pare decisamente una buona notizia.
Musto Carmelitano – Aglianico del Vulture Serra del Prete 2008
Ecco una di quelle bottiglie che fanno storcere il naso all’eno-scienziato di turno e godere il bevitore più aperto e smaliziato. Partenza acre, qualche tocco volatile, acidità un po’ anarchica: è un vino tutt’altro che perfetto sul piano “grammaticale”, ma anche uno dei più coinvolgenti e continui nel disegno complessivo. Frutto integro e polposo, riconoscibile carattere vulcanico negli apporti di grafite e brace, lampi floreali ed agrumati a dare ulteriore ampiezza, fa la differenza soprattutto grazie alla tessitura sapida e tannica, diversa da tutti gli altri Aglianico assaggiati. Non ha il cambio di passo dei fuoriclasse assoluti, ma quel finale rilassato e carezzevole è pura gioia.
Macarico – Aglianico del Vulture Macarico 2007 (da magnum)
Una delle ultime vendemmie firmate da Rino Botte prima di chiudere l’avventura da produttore e cedere il marchio Macarico (ma non le vigne, a quanto ne so). Senza dubbio tra i vini della serata, con particolare riferimento alla categoria “pesi massimi”: frutto scuro, timbri tostati, pepe verde, chinotto, con l’ossigeno si palesa la sua anima più aggraziata e diventa uno dei più coesi e profondi nell’intelaiatura espressiva. Nonostante la potenza materica e tannica, avvolge e condisce con tanto buon succo e sapore, e il lungo finale affumicato riporta in un amen dalle parti di Barile.
D’Angelo – Aglianico del Vulture Donato D’Angelo 2007
Il ritornello dell’aglianico “nebbiolo del sud” ha francamente scartavetrato gli zebedei, diciamolo, ma ogni tanto torna ancora utile. Per inquadrare il Donato D’Angelo ’07, ad esempio: davvero “ancien régime” nel gioco di fiori secchi, poutpourri, erbe in infusione, china, tabacco dolce. Tutto in delicatezza, perfino troppo se consideriamo la decelerazione finale: raro caso di rosso vulturino quasi efebico, che non lascia indifferenti a prescindere dal gradimento personale.
Paternoster – Aglianico del Vulture Don Anselmo Riserva 2004
Bella prova per quello che è a tutti gli effetti un grande classico della zona. O meglio, che lo è diventato nel corso degli anni, dopo essere stato invece un simbolo di “modernità”, tra i primissimi vini “importanti” ad adottare il rovere francese e, in generale, a sperimentare soluzioni tecniche innovative per quei tempi (prima annata: 1985). Versioni come ’90 e ’94 restano per molti versi inarrivabili, ma il 2004 si fa trovare croccante e sfaccettato al riassaggio, suggerendo oltretutto ulteriori margini di crescita e tenuta.
D’Angelo – Aglianico del Vulture Vigna Caselle Riserva 1997
Dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo, la bottiglia che da sola sarebbe valsa la serata. Vent’anni portati benissimo, senza bisogno di nascondere il tempo che passa nelle vibrazioni terziarie di orzo, terra mossa, Sperlari all’arancia, fumo, coloniali, spezie orientali, essenze d’antan. Ma il meglio viene dal sorso, insieme dolce e salato: ricorda tremendamente i Gattinara d’altura per la progressione rugginosa e silvestre, ancora reattiva nei puntelli tannici. Qualcuno lo definirebbe atipico, io preferisco democristianamente soffermarmi sulla vigorosa leggerezza che ho conosciuto ed amato nelle vecchie Riserve di Mastroberardino e, appunto, nei Vulture più maturi firmati dalla famiglia D’Angelo.
Riepilogo Batterie e Vini
1. Aglianico del Vulture Gricos 2014 – Grifalco
2. Aglianico del Vulture Stupor Mundi 2011 – Carbone
3. Aglianico del Vulture Daginestra 2011 – Grifalco
4. Aglianico del Vulture 2009 – Tenuta del Portale
5. Aglianico del Vulture Titolo 2009 – Elena Fucci
6. Aglianico del Vulture Damaschito 2009 – Grifalco
7. Aglianico del Vulture Pian del Moro 2008 – Musto Carmelitano
8. Aglianico del Vulture Serra del Prete 2008 – Musto Carmelitano
9. Aglianico del Vulture Titolo 2008 – Elena Fucci
10. Aglianico del Vulture 2007 – Feudi di San Gregorio
11. Aglianico del Vulture 2007 – Taverna
12. Aglianico del Vulture Macarico 2007 – Macarico (da magnum)
13. Aglianico del Vulture Titolo 2007 – Elena Fucci
14. Aglianico del Vulture Donato D’Angelo 2007 – D’Angelo
15. Aglianico del Vulture 400 Some 2006 – Carbone
16. Aglianico del Vulture Titolo 2006 – Elena Fucci
17. Aglianico del Vulture Rotondo 2005 – Paternoster
18. Aglianico del Vulture Stupor Mundi 2005 – Carbone
19. Aglianico del Vulture Basilisco 2004 – Basilisco
20. Aglianico del Vulture Don Anselmo Riserva 2004 – Paternoster
21. Aglianico del Vulture Vigna Caselle Riserva 1997 – D’Angelo
Tipicamente Wine Club 2016/2017 – Prossimo appuntamento
Il prossimo appuntamento del Tipicamente Wine Club è in programma Lunedì 19 Dicembre, con la Doppia Orizzontale Taurasi 2003-2004 (assaggio alla cieca di 24 vini, 10 Taurasi del 2003 e 14 del 2004).
Qui il calendario completo delle degustazioni: link.
Pillole di Wine Club #11 | Verdicchio: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #12 | Nebbiolo e Alto Piemonte: zone, stili, interpreti
Pillole di Wine Club #13 | Orizzontale Barolo 2004