Nell’ultima puntata della terza stagione di “Vino Fuori”, abbiamo lasciato il giovane Carmine sospeso tra la vita e la morte*, mentre ripensa a quella volta che don Pedro gli insegnò a campare durante la prima lezione di agroenologia:
“Se dico che mi piace assai un vino che tu non berresti nemmeno dopo una traversata nel deserto di 40 giorni, non sto sottintendendo che sei una chiavica di cristiano”.
“Giusto, don Pedro”.
“Anche se…”
“Come dite?”
“Niente”.
“E quindi…”
“Quindi se dico che mi agevola la motilità intestinale un vino che a te piace assai, che produce un tuo amico, di cui hai tremila bottiglie in cantina o quel che ti pare, non sto sottintendendo che non capisci niente”.
“Quanto è vero, don Pedro”.
“Anche se…”
“Come dite?”
“Niente”.
“E quindi…”
“E quindi se dico che la cosa più divertente del vino per me sono le sfumature, i contrasti, la vicinanza tra cose teoricamente inconciliabili, mentre per te è una chiave binaria di buono-cattivo, corretto-difettato, industriale-artigianale, non significa che non possiamo comunque bere e stare bene e divertirci insieme”.
“Ma che bellezza, don Pedro”.
“Anche se…”
“Come dite?”
“Niente”.
“E quindi…”
“E quindi non te preoccupà uagliò, ce sta ‘o Sciampagne fore, ce sta ‘o Sciampagne fore”.
*nella quarta stagione scopriremo se ad attentare alla vita del giovane Carmine è stata una criomacerazione estrema sfuggita al controllo di Vasilj, operativo al silos reattore 4 – come ipotizzato dal Commissario Recano – oppure l’anidride carbonica fuoriuscita nottetempo dalla coda fermentativa spontanea selvaggia per preciso volere della camicia a scacchi rossa e nera di zio Pier, dotata di personalità giuridica da prima del COVID-19.