Non ricordo l’occasione in cui l’ho assaggiato la prima volta e come ho fatto a comprarne qualche bottiglia, ma l’Amarone Classico Bertani 1967 è stato uno dei miei riferimenti, in questi vent’anni di attività nel mondo del vino.
L’ho usato spesso in assaggi “alla cieca”, per sparigliare le carte e vedere l’effetto, sogghignando davanti alle ipotesi più fantasiose di chi provava a indovinare. Vino buonissimo, ma non è questo il punto. Soprattutto vino con cui è facile giocare di fantasia, azzardando paragoni stilistici e territoriali. Perché Bertani è Bertani e, nonostante la rilevanza del marchio nella storia della Valpolicella, perpetua un’idea in qualche modo minoritaria. Uguale solo a sé stessa, verrebbe da dire. Lontana dal peso specifico, dalle maturità e dalle dolcezze dei benchmark della denominazione. Con una potenzialità di invecchiamento che regala classe, non solo la celebrazione fine a sé stessa del tempo che passa e del vino che resiste.
L’occasione di tornare sulla ’67 è arrivata grazie a una delle tappe di presentazione del progetto The Library: una specie di biblioteca del tempo che cataloga il patrimonio di annate storiche di Amarone Classico Bertani, custodite nella cantina di Grezzana a partire dal 1958. Qualcosa come 48 annate, dalla prima alla 2013, 43 delle quali selezionate dal Master of Wine Nick Jackson e 27 ancora disponibili sul mercato.
Un archivio con pochi eguali in Italia, almeno con questa profondità, spessore e possibilità di acquisto, che fa pensare a cantine storiche come Castello di Monsanto, Borgogno, Biondi Santi, Selvapiana, Pepe, per citare le prime che mi vengono in mente.
Se volete un articolo esaustivo sul tema e la prova d’assaggio di tutte le annate della Library, vi consiglio il report di Jacopo Cossater su Intravino. Qui racconterò la batteria assaggiata dal sottoscritto, sufficiente a confermare l’evidenza dello stile Bertaniano, come lo ha definito Andrea Lonardi (Chief Operating Officer dell’azienda), e il rigore con cui è stato mantenuto nel tempo, al di là delle annate e degli ovvi assestamenti.
Uno stile dritto, verticale, almeno in riferimento alla tipologia, longevo. Tornato finalmente di moda.
«Anni fa si faticava su certi mercati, perché l’Amarone era altro», sottolinea ancora Lonardi.
Parole che fanno venire in mente tante altre storie del vino italiano recente. Di resistenza, non fosse un termine esagerato e abusato. Certamente di volontà e forza nel mantenere in vita uno stile, nonostante tutto. Bertani è per l’Amarone un po’ quello che un Bartolo Mascarello è per il Barolo o un Montevertine per il sangiovese chiantigiano. Banalizzando un pensiero e mettendo insieme esperienze che si assomigliano poco o niente, se non nell’idea di coerenza cui accennavo.
Suggestioni che sono venute fuori durante l’assaggio e nozioni che mi paiono rilevanti
- The Library è uno “strumento di lavoro”, tra le ricognizioni di questo tipo più grandi al mondo. Volto all’esterno ma anche all’interno, come fucina di spunti preziosi per chi oggi quel vino lo fa, lo comunica e lo vende.
- Citando il compianto Prof. Denis Dubourdieu, Lonardi accosta l’Amarone allo Champagne, in quanto entrambi vini di “metodo”, più che di vigna. Dico Porto, per usare un paragone forse meno scioccante. Il senso è quello del terroir come limite che può essere superato: una provocazione che piaceva molto al Professore, capace di sovvertire la retorica dominante e rimettere l’uomo al centro della scena.
- La corvina, varietà regina dell’Amarone, è delicata e capricciosa. Come il nebbiolo o il pinot nero, viene marcata molto dalla presenza di altre uve, che prendono facilmente la scena.
- La tecnica di appassimento prevede la “messa a riposo” dell’uva, dopo la vendemmia, per un minimo di 3 mesi, salvo deroghe che autorizzano ad accorciare la pratica. Questione rilevante, viste le temperature in aumento, e dibattito più che mai aperto.
- Bertani non ha ceduto all’appassimento “condizionato” e non ha mai introdotto macchinari per farlo. Ha così mantenuto la tradizione, pagando qualcosa in termini di costanza ma rispettando l’andamento delle annate che, per questo vino, non si concludono con la vendemmia ma proseguono per tutto il tempo di sosta nei fruttai.
- L’Amarone Classico Bertani matura per almeno 7-8 anni in botti di legno, colmate con il vino migliore delle vendemmie più giovani (una sorta di metodo Solera, insomma). In questo tempo, viene immesso circa il 10-15% di vino di millesimi diversi da quello espresso in etichetta.
Altre note
I vini sono stati assaggiati lunedì 17 Ottobre 2022, presso lo splendido On Milano, alla presenza del COO Andrea Lonardi e della responsabile Marketing dell’azienda Eleonora Guerini. Tutte le bottiglie arrivavano dalla cantina, ovviamente. Una bottiglia dell’annata 1981, non del tutto a posto, è stata sostituita.
La degustazione ha confermato il tratto stilistico dell’Amarone Classico Bertani, evidenziando alcune costanti, come le note aromatiche di buccia d’arancia, che diventano cedro e bergamotto nelle annate più fresche, passando per toni fruttati mai eccessivi e accenni affumicati, specie nelle versioni più datate. Vini asciutti, quasi sempre salati, con piacevoli incursioni amaricanti, a disegnare curve gustative e idee aromatiche di radici ed erbe macerate.
La degustazione
Amarone Classico della Valpolicella 1967
Molto meglio della mia ultima bottiglia, ha un’integrità sconvolgente e affascinante. La classica buccia d’arancia amara incontra il calore goloso della ciliegia sotto spirito, in un gioco che non rinuncia ai contrasti balsamici. Un vino di polpa ed eleganza, intensità e finezza, ritmato da sussulti amaricanti, quasi di vermut, nel gioco di spezie e droghe macerate, che insaporisce una fitta trama tannica *****
Amarone Classico della Valpolicella 1975
Annata più fresca e vino che la segue a ruota. Il frutto è decisamente più chiaro del precedente, l’agrume si fa verde, i fiori secchi ricordano la rosa e il secondo naso i sali da bagno. Bocca leggiadra, delicata ma succosa, tannino meno maturo ma comunque sapido, con qualche richiamo di fumo e sottobosco ****
Amarone Classico della Valpolicella 1981
Ci vogliono un paio di bottiglie per leggere la vendemmia 1981, in ogni caso più scura e matura di altre versioni, con una velatura di gomma bruciata. Resta tuttavia un prezioso sottofondo balsamico, a rinfrescare lo schema o quantomeno a renderlo più equilibrato. La bocca, coerente, è morbida e strutturata, con un finale caldo, un po’ caustico sul piano etilico e torbato su quello del sapore, ma capace di aprirsi e distendersi alla distanza ***
Amarone Classico della Valpolicella 1998
Il vino meno convincente della degustazione. Intanto è piuttosto maturo ed evoluto e poi c’è una copertura tostata stranamente ingombrante, quasi di legni bruciacchiati. Bocca tosta, potente, morbida, ma il tannino è polveroso e amarognolo **
Amarone Classico della Valpolicella 2005
In casa Bertani, lo paragonano al ’67 e forse hanno ragione. Un vino ancora in divenire ma già appagante, molto fine, di lineare e golosa profondità. L’arancia c’è ma è ancora rossa e succosa, le foglie di agrumi accompagnano il ventaglio floreale e quello fruttato *****
Amarone Classico della Valpolicella 2012
Se il 2005 è un moderno ’67, il 2019 assomiglia per certi versi al ’75. In sintesi, un vino più delicato ma affatto crudo, piacevolissimo nel tatto di buccia di cedro, arancia amara e foglie di agrumi. Anche il frutto è più chiaro, vicino ai lamponi e alle fragoline di bosco ****
Foto: Andrea Moretti