
Sfera ebbasta che canta La bella Gigogìn con l’autotune o Gozzano che declama Rolls Royce coi capelli fucsia, se preferite. La trap che incontra i canti risorgimentali, insomma.
Eresia tanto intrigante quanto destabilizzante per chi, alzo la mano, finora è andato a Carema sempre e solo per cercare casa di nonna, frutti impagliati, moganezze autunnali, granitiche impalpabilità, ritmi ottocenteschi e visioni olivettiane.
E che si ritrova invece per un volta davanti a un millennial smanioso, spacciatore di fruttismi sudisti e aerosol agresti. Sfidante più per istinto generazionale che per scelta: ci sarà tempo, se lo vorrà, per controllare gli acuti, aggiungere biscrome e stereofonizzare il finale.
Perché la stirpe è quella: quando smette di rappare, torna il riverbero di gole, rocce, confini ed eroismi, del ferro scaldato da un treno a vapore, del grammofono che farà ballare nonna Speranza vestita a fiori con zio Gepìn ancora in uniforme.