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Lo storytelling del niente

scabin

Non abbiamo neanche finito di smaltire quei 15-20 panettoni di rito che è già tempo di programmare la stagione. Le varie anteprime, il Vinitaly, gli assaggi per la prossima guida e via discorrendo. Sul fronte culinario, “il giorno della marmotta” di inizio anno è senza dubbio Identità Golose Milano. In agenda c’è scritto 4 – 6 marzo.

Da ogni edizione porto via qualcosa. Se penso a quella passata mi viene in mente il faccione di Isaac MacHale, cuciniere del The Clove Club di Londra in cui mi sono fiondato, con una banda di cialtroni, la scorsa primavera. E l’intervento di Scabin sul palco principale.

Ricordate cosa ha detto Mr. Combal.Zero? In sintesi che la critica gastronomica è morta.

“Mi manca un Edoardo Raspelli. Cioè mi mancano dei personaggi che criticano e che si espongono. Oggi un giornalista cerca più la storia di uno chef e non cosa effettivamente fa.”

Ha detto, in soldoni, che oggi comanda lo storytelling e che una barba o un tatuaggio, piuttosto che la retorica dell’orto o di qualche altra favoletta trendy, può essere più importante di quello che effettivamente c’è nel piatto: del livello tecnico, dell’esperienza e dello stile.

Al netto di qualche esagerazione, non posso dire di non trovare qualche verità nel ragionamento. Non solo in cucina e nel vino, dove i “personaggi” fanno sicuramente meno fatica ad emergere e la calligrafia ruba la scena al contenuto. Nossignore, ormai la tecnica narrativa comanda in ogni settore. Politica compresa, dove un Berlusconi, un Renzi, un Vendola o un Grillo hanno fatto e fanno scuola.

Riconoscimento, risonanza, interazione col proprio pubblico. Temi cardine dello storytelling moderno. Se state pensando a certe degustazioni o presentazioni di vini dove i relatori sembrano dei Mastrota alle prese con pentole e materassi, piuttosto che ai selfie di giornalisti e food blogger con il grande cuoco di turno, siete sulla strada giusta.

Forse è il sistema che ci sta portando in questa direzione e i social sembrano fatti apposta per esaltarlo, con i loro tag accondiscendenti e autoreferenziali, il click-baiting, gli articoli e i titoli fatti ad arte.

Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione (per qualcuno) è eccellente.

% Commenti (2)

Posso essere d’accordo quasi su tutto ma non sopporto quel “piuttosto che” utilizzato al posto di una semplice “o” alla riga 13… Vede come è facile cascare nei tranelli delle tendenze di moda… 🙁
Ma l’italiano, come la cucina, non è un’opinione.

La cucina, come la lingua, non sarà un'opinione (!) ma è viva e soggetta ad evoluzioni, cambiamenti e sfumature. Piuttosto che (nel senso di oppure e non di anziché) farà rabbrividire qualche parruccone della Crusca ma è figlio di un'evoluzione che peraltro ha certificate origini storico-sociali. Dia retta, non si impunti su ossificate convinzioni culinarie (nel linguaggio faccia come vuole); metta un pizzico di peperoncino anche se la ricetta non lo prevede, per una volta. Saluti e e grazie comuqnue per il suo intervento.

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