Noooooo, l’ennesimo post su Montevertine (azienda) noooooooooooooooooo!
Ok, avete ragione. Ma trenta secondi per rendicontarvi l’ultima stappatura del Montevertine (vino) me li dovete concedere.
Avevo assaggiato il 2010 solo all’uscita e invocavo una prima vera sera d’autunno per testare il suo stato di forma. Inversamente proporzionale a quello del bevitore, tanto per capirci: è lì in mezzo al gruppo dei maratoneti, fresco come una rosa e quasi infastidito da un’andatura per lui sotto ritmo.
Quello che non ricordavo è una traccia ferrosa, oserei dire gattinaresca, ad avvolgere il consueto tripudio di piccoli frutti ancora bagnati dalla condensa mattutina, ulteriormente rinfrescati dalle erbe mediche, le spezie da concia, gli umori di un sottobosco tutt’altro che ombroso o autunnale.
E’ un peso medio-leggero, che con abile mossa Kansas City distoglie lo sguardo dalla ponderazione materica per dirigerlo sull’incessante flusso di nerbo e tensione. E poi non esistono vini “troppo piccoli” quando il tannino è così succoso e cesellato, la scia sapida tanto fitta e sostenuta, il finale così rigoglioso e appagante.
Si arricchisce di sfumature man mano che prende aria nel bicchiere, è perfino scontato immaginare una fase post-giovanile sempre più complessa ed autorevole, grazie anche a quel plus di ciccia che la sosta in bottiglia solitamente gli regala.
Se avete scorte sufficienti, potete tranquillamente sacrificare una boccia per godervelo in questa finestra fitness: per una volta, però, lasciate perdere la Fiorentina – capolista o non capolista – e mettetegli affianco qualcosa di molto simile a ciò che vi inventereste per un 1er di Gevrey.