
L’amico e collega Franco Pallini non le manda a dire. E’ uno con pochi peli sulla lingua e se qualcosa non gli va a genio proprio non si trattiene, in barba a tutte le diplomazie e i possibili giri di parole.
I vini rosati? “Sottoprodotti della vinificazione”, ripete spesso davanti ai bicchieri pallidi.
Si, no, ni. La moda, come spesso succede, suggerisce facili scorciatoie. Da quando il mercato si è messo a chiedere rosati, le etichette si sono moltiplicate e le bottiglie sono spuntate come funghi, dando vita ad una sorta di giungla in cui è difficile orientarsi.
Che roba è il rosato che abbiamo davanti, allora? Forse si tratta realmente di un prodotto “secondario”, magari ottenuto dal salasso di un vino rosso (tecnica che consiste, a grandi linee, nel togliere parte del mosto, prima della fermentazione, allo scopo di favorirne la concentrazione del vino). Lo scarto, come dicevamo, potrebbe diventare il rosato che abbiamo nel bicchiere.
Detto questo, i vini più interessanti si producono con una breve macerazione sulle bucce. Di tutto o parte del mosto.
Ho già raccontato la mia passione per Chateau Simone, tra i migliori vini di una terra notoriamente vocata alla tipologia come la Provenza. Anche in Italia, però, i buoni rosati non mancano, a cominciare da quelli di zone classiche come l’Abruzzo, con i sui deliziosi Cerasuolo, il Salento, certe aree della Sicilia, della Calabria o dell’Alto Adige, nel profondo nord.
L’altra sera, un oste burlone mi ha portato in tavola una bottiglia avvolta da una busta di carta, invitandomi ad indovinare il vino. Un rosato di bella luce e intensità, che mi ha subito depistato. Confesso infatti di aver pensato al sud della Francia, forse per via di quell’eccitante mix di intensità, freschezza acida e sapore salino. Pochi minuti per tornare sui miei passi. La temperatura ha dato al vino un’impronta più marcatamente meridionale, seppure di clamorosa freschezza, capace di danzare tra profumi estivi di terre assolate: ciliegie mature, pomodorini, erbe aromatiche e anche capperi, mi pare.
Perversioni da degustatore a parte, inebetito e vaneggiante davanti alla bottiglia misteriosa di turno, un grandissimo vino rosato, i cui accenni speziati mi hanno fatto pensare ad un leggero invecchiamento.
Altro che leggero, il mio Maquè Rosè era addirittura un 2010! Lo produce Porta del Vento, sulle colline di Camporeale (PA); in alto (circa 600 metri), su terreni sabbiosi e rocciosi, a partire da vecchie viti allevate ad alberello. Lo consiglio allegramente, anche al mio amico Franco Pallini.