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Un Ciliegiolo tira l’altro

Sassotondo

“Sul Ciliegiolo sono inciampato”. Non è un vino che ho cercato; è stato lui a trovarmi. Nessuna ricognizione sistematica o indagine approfondita ma incontri casuali, almeno in apparenza, capaci di stuzzicarmi, solleticare qualcosa e far suonare un campanello. Almeno in certi casi.

Qualche giorno fa, a Ciliegiolo d’Italia, sono stato invitato a parlare dell’argomento. Una piccola ricognizione, bicchieri alla mano, su alcune espressioni significative di questa varietà in via di riscoperta.
Che roba è il Ciliegiolo non lo so ancora, ma il percorso di avvicinamento è in corso. La degustazione è servita soprattutto a me, credo. A focalizzare i dettagli, guardando da vicino un insieme ancora incompleto e cercando di sistemare le tessere del mosaico in maniera sensata.
Il Ciliegiolo arriva probabilmente dalla Spagna e trova accoglienza in Toscana. Da lì viaggia per tutto il centro Italia, fino a toccare la Liguria, da una parte, la Puglia e l’Abruzzo dall’atra. In Umbria pare aver trovato alcova soprattutto nella parte meridionale della regione, a Narni e dintorni. Si dice che sia il papà del sangiovese.
Che nome curioso: Ciliegiolo. Nell’eno-scacchiere italiano ci sta benissimo. Non è un vinone. Forse si trova più a suo agio tra le bottiglie quotidiane, meno impegnative di altre ma golose, originali, gastronomiche. Mai nemmeno troppo semplice, però. L’anima mediterranea è evidente. Il caldo abbraccio pure, anche se nei casi migliori è più una coccola delicata.
I Ciligiolo su cui sono inciampato:

Ciliegiolo

Antonio Camillo
Ero da Mattia Barzaghi ad assaggiare Vernaccia. Al solito, dalle parti del Caggio, qualcosa d’altro ci scappava, magari vicino a due fette di salame. “Assaggia questo, lo fa un amico”. Vibrazioni fortissime e voglia di andare a vedere di persona. Mi si apre un mondo. Tre fratelli, tre vigne prese in affitto: più o meno 3 ettari in tutto a Vallerana, dalle parti di Capalbio, dove le terre si fanno rosse e ferrose. Soprattutto un sogno. Quello di Antonio Camillo e dei suoi Ciliegiolo. Prima condiviso, nel progetto Poggio Argentiera, oggi solitario.
Che bello riabbracciare Antonio e i suoi vini. Lo scoppiettante Principio 2013, scanzonato e scaltro, immediato e di istintiva spensieratezza. Il più maturo Vallerana Alta ‘12, dalle vigne più nobili e dalle viti più vecchie, che guadagna materia e intensità senza accumulare pesantezza. Roba da grandi.
In bocca al lupo Antonio, la tua avventura è bella e i tuoi vini sono gioia pura. Meriti il meglio, sono sicuro che l’avrai.
San Ferdinando
Ho conosciuto questa cantina della Val di Chiana grazie a due amici: Fabio Starnini e Simone Zucchetti. Devo ringraziarli. San Ferdinando fa vini buoni e personali, una rarità in quella zona. Solo uve classiche: vermentino, sangiovese, pungnitello e ciliegiolo. Appunto. Il tratto stilistico è rilassato, puro, spesso in sottrazione. Il Cieligiolo della casa è un tripudio di frutti di bosco, avvolti in una nuvola di pepe nero. Eccole, le spezie, un tratto distintivo della varietà, in certe espressioni quasi syraheggiante.
Sassotondo
Chissà, magari non ci fosse stata la scusa di questa degustazione a Ciliegiolo d’Italia non ci sarei mai arrivato. Fisicamente intendo. Sono felice sia andata diversamente. Sassotondo è in un posto straordinario, tra Pitigliano e Sovana. Ci arrivo per un bosco, pensando di essermi perso, e mi si spalanca un paesaggio che mi fa pensare a Mendoza, all’Argentina. Una specie di altopiano, le vigne, l’Amiata in lontananza al posto delle Ande. Certo qui i terreni sono vulcanici, mica scherzi. Come dicono Edoardo Ventimiglia e Carla Benini, qui in pianta stabile dal 1990, “il tufo è la materia guida: sul tufo i vigneti, di tufo le case, nel tufo la cantina”. Una meraviglia.
Due i Ciliegiolo. Un “base”, solo acciaio, e il San Lorenzo, da una piccola vigna in faccia a Pitigliano, che invece conosoce i legni. Con loro sta rivedendo il suo rapporto. A me convince molto il nuovo corso. Il 2010 è una delizia e va provato. Non si può parlare di Ciliegiolo senza questo tassello (con Rascioni e Cecconello, altro figlio di Attilio Pagli, tra i pionieri della varietà in Italia).
Leonardo Bussoletti
A Narni è nata l’Associazione dei Produttori del Ciliegiolo*. Sul vitigno, in rapporto al luogo, si sta scommettendo molto. Il percorso è ancora lungo, gli strappi e i buchi non mancano ma il progetto è sensato e interessante. Leonardo fa uno dei Ciliegiolo più buoni, non solo della zona. Ha preso vigne vecchie e ne ha impiantate di nuove, su suoli calcarei e argillosi. L’inizio del percorso è stato buono ma non entusiasmante, a mio parere. Dal 2013 si cambia ritmo. Il Brecciaro di quest’annata ha purezza, definizione, immediata eleganza. Più dosato nell’estrazione, finalmente centrato nel rapporto con il legno. Un vino ancora giovane ma già leggibile, splendido nelle cromature rubino, armonioso, capace di cambi di passo continui come di mostrare una fisionomia precisa. Senza gabbie, finalmente libero.
Volendo assaggiare qualcos’altro della zona, consiglio Giro di Vento. Un Ciliegiolo tira l’altro, del resto.

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