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Il BarDelli degli UFO


Qualche settimana fa su Repubblica è uscito un articolo interessante. Uno scritto che racconta nel dettaglio quella che dovrebbe essere l’ultima moda per noi fissati di cibo e vino.

Siamo a Tel Aviv, ma la tendenza è in pieno fermento un po’ ovunque, con Londra e New York a fare al solito da battistrada.  I Pop-up restaurant, ristoranti che appaiono e scompaiono, sono sulla bocca di tutti.
Cosa sono? “Cene organizzate da chef per un pubblico ristretto, in luoghi diversi dal ristorante tradizionale. Gallerie d’ arte, negozi, rivendite di libri, magazzini di tappeti, falegnamerie, mercati al coperto, si trasformano per una notte in un ristorante d’alta cucina con un menù sempre diverso- portate in atmosfera con il luogo – e adeguati vini per accompagnare le pietanze”.
Il più famoso di Tel Aviv si chiama The Secret Place ed è orchestrato dallo chef Uri Levy, in genere una volta al mese “per 250 selezionati ospiti, avvertiti mezzora prima dell’ appuntamento, in genere a mezzanotte, via sms del luogo esatto”.
Letto l’articolo, puntale come la grandine sulle vigne della Côte de Nuits, arriva la telefonata dell’inventore del BarDelli: “non per vantarmi – mi fa – ma noi facciamo eventi così da almeno 5 anni, per un numero molto più ristretto di persone. E poi i nostri costano il triplo”. Vero, vero, vero.

Liquidata con sufficienza una spacciata novità, che per noi novità non è, eccomi a narrare l’ultimo BarDelli in maniera didascalica e confusa. E’ passata qualche settimana e i ricordi, già ingarbugliati all’indomani, si sono via via sgretolati. In più mi tocca andare a memoria, perché la voglia di godermi pienamente l’evento mi ha convinto a fare a meno della solita Moleskine.

Dunque, andiamo a strappi e cominciamo dal titolo: UFO, che stava per Unidentified Food Object e aveva come protagonista il tartufo nelle sue massime espressioni, bianche e nere. In uno scenario strepitoso ma affatto comodo per cucinare (il Carapace di Arnaldo Pomodoro, sede della cantina Castelbuono* a Bevagna), lo chef Riccardo Benvenuti* si è esibito in una serie di piatti deliziosi, che hanno ricordato ai presenti le doti di questo ragazzo dalla mano felicissima.

Dopo le ostriche di rito, la sfilata è andata avanti più o meno così:
Mysteries in space
– Cime di rapa, pane, gelato al parmigiano e tartufo bianco
– Agnello, carciofi e tartufo nero

Flying saucers

– Risotto con tartufo bianco
– Piccione, sugo d’arrosto al Marsala, tartufo nero
Alien entities
Lamponi, aceto, “cioccolato”, aneto

Detto dei piatti e dell’inebriante, pervasivo, profumo dei tartufi, ricordato che il gioco prevede la quasi assoluta incomunicabilità vinosa tra i tavoli (la fortuna è capitare con i commensali giusti, insomma, anche se stavolta qualche deroga c’è stata), e celebrati i Tre Grembiuli che sanciscono le migliori cucine di casa dell’anno, passerei a scandagliare le bottiglie che più mi sono rimaste in testa.
Il così detto tavolo degli Abramoviĉ ha sfoderato il solito, clamoroso filotto di Champagne. Piccole, sconosciute ma promettenti etichette che rispondono ai nomi di Krug Collection ’79 e Clos du Mesnil 2000, Bollinger Grande Année ’99, Dom Perignon Enoteque ’95 e un grandioso Salon ’88. Senza dimenticare le bolle italiche, che a dire il vero fanno una bellissima figura: Ferrari Bruno Lunelli Riserva ’95 e Giulio Collezione di pari annata (16 anni sui lieviti, 18 prima di uscire dalla cantina!).
Tra i bianchi, il solito Ramonet che esce alla distanza, stavolta con un Batard ’05 che mostra il meglio di sé a fine cena,  ma soprattutto, almeno per il sottoscritto, un magnifico Bienvenues-Bâtard-Montrachet 2000 di Vincent Girardin. Com’era? Un’alchimia perfetta, capace di bilanciare le sensazioni di burro, pasticceria e tartufo bianco con una spina acida fenomenale ma integrata, ben ricamata da succosi agrumi e accenni di clorofilla. Ad un’incollatura Haut-Brion bianco ’95, più incentrato su cenni di limoni essiccati, fumo, menta e anice stellato.
E tra i rossi? Metto in cima uno spaziale Cheval Blanc ’85, mostro di suggestioni che sembrano non finire mai e che è quasi ridondante snocciolare, contenute in un sorso impossibile da frenare; e un clamoroso Vosne Romanée 2004 Leroy, miglior Borgogna assaggiato dal sottoscritto tra quelli di questa annata così difficile (se non sbaglio in questo Vosne sono finite anche le uve dei Grand Cru).
Dietro a queste, rischiano di finire nell’ombra bottiglie splendide come Margaux ’98, che ha dato la sensazione di essere in una fase poco sfaccettata; l’Echezeaux ’03 di Emmanuel Rouget, un filo caldo e maturo; lo Charmes – Chambertin ’95 di Armand Rousseau, al contrario rigido e a tratti esile, anche se divertentissimo da bere (giusto per giocare a trovare il pelo nell’uovo).
Non male Palmer ’95, tutto ribes nero e foglie verdi e lo speziatissimo Pichon Longueville Comtesse de Lalande ’86. Di più? Nin zò. O meglio non ricordo…

Ecco i sonetti di apertura e chiusura della serata, firmati al solito, immendo, Daniele Falchi
In cima alla collina e pare un ufo,
c’è l’Opera del grande Pomodoro.
Baldelli ci prepara un buon ristoro,
con una cena a base di tartufo.
Cucina qui Riccardo BENVENUTI!
e anche noi lo siamo in questo loco,
‘che c’è la fila fuori e non è poco,
di gente in piedi e noi siam qui seduti.
Le regole oramai le conoscete:
i tavoli coi posti son precisi,
e gran bottiglie toste per la sete.
Illumininate i volti di sorrisi.
Sarà un gran bel viaggio, lo vedrete,
verso le stelle. Gli ormeggi sian recisi!
____
Dal fondo dello spazio siderale
la navicella termina la rotta.
Riccardo fe’ ogni cosa, cruda o cotta,
con gran sapore unico e speciale.
E Paolo Baldelli, il Capitano
di questa ciurma varia, ma affiatata,
ecco che ci ha disposto alla nottata:
volteggeranno i sogni piano piano.
Rapiti e inebriati come amanti,
dai vetri quali oblò d’ogni bottiglia,
le stelle abbiam scrutato più brillanti.
Percorse ha l’astronave miglia e miglia.
Racconterem di prodi naviganti:
per l’emozione, umide le ciglia.

Si, c’è stato anche un delitto
FOTO: PIER PAOLO METELLI

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