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BB9 Barley | Chi ben comincia è a metà dell'opera

Quei quattro matti che seguono le riflessioni strampalate che si fanno da queste parti lo sanno: non siamo appassionati di primogeniture* e la rincorsa alla scoperta, a “l’avevo detto prima io”, ci convince poco.

C’è sempre qualcuno che suggerisce una riflessione con una sua riflessione, o che comincia l’opera che poi qualcun altro finisce, anche solo involontariamente. Meglio bene che prima, questa la nostra posizione.
Ci sta, dunque, che il Tg2 faccia un servizio sul mondo della birra artigianale italiana che incontra quello del vino (produzioni brassicole che prevedono uve, mosti, affinamenti in legni…), appena qualche giorno dopo l’uscita di un corposo articolo scritto dal trio monnezza sul Gambero, che trattava lo stesso argomento. Non siamo così matti da pensare di aver inventato il tema, di averci pensato prima di tutti o di non aver preso spunto da qualcuno.
La stessa cosa, crediamo, vale per prodotti e produttori. Rimanendo sul tema del connubio birra-vino, tuttavia, vale  la pena dare merito a chi ha traghettato in Italia un concetto, partendo e muovendosi su esperienze personali, territoriali, certamente originali.
In Italia la prima birra che ricordo sotto questo segno è la BB10 di Barley, che fa parte della gamma aziendale fin dall’apertura del birrificio”. Parola di Nicola Utzeri, direttore di Fermento Birra*. E’ con lui che abbiamo cercato di ricostruire la faccenda, scoprendo le “origini” sarde del movimento che, passo dopo passo, ha dato vita ad una specie di moto tumultuoso, contagioso, dirompente. Oggi tuttavia nitido, leggibile e riconosciuto a livello internazionale come vero e proprio “stile italiano”.
Rimanendo in casa Barley (non solo antesignano ma artefice di percorsi sempre più convinti e radicati), la mitica  BB10, prodotta con l’utilizzo di sapa (mosto d’uva cotto) di uve cannonau, viene presto affiancata dalla BBevò (sapa di nasco) e quindi dalla BB9 (sapa di malvasia di Bosa).
Quest’ultima, più che riassaggiata ribevuta un paio di giorni fa, è davvero impressionante per materia, complessità e finezza. Ha profumi di frutta esotica (mango), uniti a sensazioni di arancia candita e nocciola tostata, mentre in bocca mostra una cremosità avvolgente, ricca, che non perde di vista equilibrio e allungo. Chiude su deliziose e rinfrescanti note balsamiche, prima di qualche accenno, più asciutto, di spezie e pepe nero. Buonissima, e cartamente capace di partecipare al gran ballo delle più interessanti craft beer del mondo.
Foto: Sara Mattaioli*

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