Certo ci vuole coraggio, o quantomeno un colpo di sole ben assestato, per parlare del senso delle annate dei vini dal pulpito dell’ombrellone, con i locali alla moda (anche se non si capisce bene quale) che ci inondano allegramente con ettolitri di spritz e mojito preconfezionato.
Il tutto aggravato dal fatto che non è tanto per il caldo di quest’estate curiosa, che qualche approfondimento sulle prospettive del eno-millesimo lo potrebbe pure portare, quanto per la recente bevuta di uno Chateau Latour 1999 che mi imbarco nell’improbabile elucubrazione.
Insomma, le domande sono sempre quelle. Che si intende per grande annata? Ci può essere un’idea oggettivamente condivisa su questo fronte? E infine, la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere?
Guardando all’Italia, dobbiamo dire che le cose sono cambiate parecchio negli ultimi anni. Dall’unanime proclamazione della 1997 come annata del secolo ne abbiamo fatta di strada. Oggi le cose appaiono un po’ più sensate, anche se da noi il rischio di passare da un eccesso all’altro è sempre dietro l’angolo.
E in Francia, il paese che ha cominciato a maneggiare questo giochino prima di tutti? Confesso di dover riflettere sempre a lungo sulla valutazione delle annate sopra le Alpi e di non trovarmi sempre in linea con la critica autoctona. Per dire (compatibilmente al mio portafoglio esangue, certo), non ho molti Borgogna 2005 in cantina, ma sto facendo una scorta più ampia possibile di 2010. E a leggere come sono state giudicate le cose dai francesi sto certamente prendendo un abbaglio.
E veniamo alla scintilla del ragionamento. Pensatela come vi pare, a me la 1999 a Bordeaux piace parecchio. Non sarà un mostro di intensità e spessore ma quei vini mi paiono sempre eleganti, sfumati, ricchissimi di chiaroscuri, ben orchestrati nelle sensazioni terrose e minerali. Non sono forse quelle che raccontano il territorio e le sue varianti?
Sbaglio anche qui, evidentemente, perché i giudizi sul millesimo sono così così e mettono davanti annate che mi convincono decisamente meno. In un momento di estrema presunzione potrei anche dire che quella critica pare ancora(ta) su posizioni del passato che mettono al centro lo spauracchio dell’immaturità (lo so, l’ipotesi che abbiano solo più esperienza di questo babbeo accaldato è allettante).
Vabbè, a ognuno il suo, io mi tengo stretto il piacere di questo Latour 1999: un rosso leggiadro e umorale, giocato più sull’eleganza della silhouette che su muscoli e dimensioni, capace di farti innamorare coi sussurri e le carezze. Erotico, per certi versi, e sicuramente incapace di saziarti. Anche meglio di certi beveroni o bestseller estivi, pensa un po’…