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Nanni com'è. Secondo capitolo

C’è solo una cosa peggiore di un produttore amico, di quelli veri intendo, i cui vini non riesci ad amare fino in fondo. Ed è quando i vini dell’amico ti piacciono, e pure parecchio. Perché, che tu lo voglia o no, sei lì a rimuginare e non puoi fare a meno di chiederti: ma non è che un piccolo bonus ce lo mette la simpatia e le affinità elettive?

Perché ci sono dei casi in cui il rapporto extralavorativo non solo non aggiunge nessun bonus ma addirittura lo sottrae, rendendoti il più grande rompicoglioni del pianeta in nome del principio per cui più sei amico e più devi fare il grillo parlante, insinuando dubbi, sollevando criticità, spostando l’asticella. Perché ti fa rabbia sapere che giocoforza qualcosa si perderanno per strada, coloro che ti ascoltano, ammesso che esistano, immaginando quel pizzico di benevolenza che invece hai stroncato impietosamente sul nascere. Perché il vino è una lente di rivelazione straordinaria della natura umana, con tutto il suo meglio e tutto il suo peggio.
E’ un po’ che rifletto su queste cose. Precisamente da quando ho assaggiato (e riassaggiato) il Sabbie di Sopra il Bosco 2009, secondo capitolo dell’avventura da vignaiolo di Giovanni Ascione-Nanni Copè.
Uno di quelli che ce l’hanno scritta in fronte, la marcia in più che hanno ricevuto in dono, uno di quelli per cui non basta una vita a imboccare tutte le strade fatte apposta per esaltare il loro talento. Eppure, devo essere molto sincero, non pensavo che la mia stima per il Giovanni produttore potesse pareggiare tanto rapidamente quella per il manager, il sommelier, l’enciclopedia vivente del vino mondiale, il narratore che ha firmato i più coinvolgenti articoli pubblicati in questi anni da Bibenda, insieme al gemello del gol Armando Castagno.

In questi mesi ce la siamo confessati in tanti, quella sensazione stranita che ci ha portato ad esclamare “non può essere” quando abbiamo avuto per la prima volta tra le mani il suo 2008. Al di là delle sfumature interpretative dei vari gruppi d’assaggio, un consenso quasi bulgaro ha evidenziato uno di quei rari casi in cui una nuova etichetta riesce immediatamente a lasciare un segno, ad illuminare un percorso inedito, ad incarnare fin da subito uno stile.
In questo caso, la via sfacciatamente saporita e slanciata al pallagrello nero della vigna da cui tutto è partito, in località Monticelli di Castel Campagnano, dove qualche filare di aglianico può completare il blend, insieme a vecchie piante di casavecchia, di casa a Pontelatone. Uno di quei vini che a tavola finiscono in un batter di ciglia, a cui si può eventualmente rimproverare, si fa per dire, qualche limite di spalla e profondità, anche e soprattutto in virtù di una veste fruttata ancora giovanissima, quasi primaria, chiamata probabilmente a trasformarsi e a crescere per un bel po’ di tempo.
Fin qui tutto bene se non fosse che il 2009, senza girarci troppo attorno, è ancora meglio. Che vuol dire, per un vino dalla storia così giovane? Vuol dire, ovviamente per me, un vino più completo, tempestato di frutto rosso fresco e sfumato, con un’integrazione del rovere di grande nitidezza e con quel sottofondo affumicato e salino a martellare in un sorso fitto e carnoso, senza scalini, senza strettoie. Se il 2008 è puro istinto, il 2009 appare consapevole opera di testa e braccia, perché frutto di un’annata decisamente più complicata, che ha costretto ad un lavoro di selezione grappolo per grappolo, acino per acino.

Niente di epocale, sia chiaro, semplicemente quello che deve fare un vigneron degno di questo nome. Sorprende, semmai, ma fino a un certo punto, che Giovanni l’abbia imparato così in fretta. Forse si sarà ricordato di tutte quelle volte che ha scritto dei cosiddetti millesimi minori, che si rivelano alla prova dei fatti autentici coup de coeur, intrisi di quella magia, citando lo Svizzero, che la stagione “perfetta” difficilmente riesce ad aggiungere.
Ritornando al dilemma iniziale, che si fa in questi casi? Direi che avete da scegliere tra due possibilità: 1) considerare che Giovanni è un amico di Paolo e su questo 2009 il De Cristofaro sta necessariamente esagerando; 2) considerare che Giovanni è un amico di Paolo ma il De Cristofaro non può e non vuole fare a meno di condividere quello che pensa e questo 2009 potrebbe essere veramente un cavallo di razza.
Al Vinitaly ognuno si potrà fare la propria idea, in ogni caso cercate di decidere presto perché sto morendo dalla voglia di raccontarvi il mio entusiasmo per una serie di tonneaux targati 2010 da buttarsi per terra con capriole annesse…

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