La foto qui sopra mi è stata mandata dall’amico Stefano Pallucco e si riferisce ad una vigna di trebbiano spoletino della cantina Poggio Turri, a Fratta di Montefalco.
Non è un’immagine inusuale, spesso questa varietà veniva allevata con metodi che oggi consideriamo arcaici, tanto che si possono trovare ancora diversi esemplari di viti “maritate”, retaggio di una viticoltura promiscua che doveva inevitabilmente dividere gli spazi con le altre colture, e disegnava un paesaggio agricolo che sta pian piano scomparendo.
Sesti d’impianto chilometrici, da far venire i brividi al buon Casolanetti; viti altissime e rigogliose (non di rado a piede franco), grappoli generosi, vendemmie che, nelle migliori delle ipotesi, cominciano a fine ottobre (l’uva della vigna che vedete nella foto è stata raccolta intorno al 6 Novembre).
L’immagine mi ha fatto tornare in mente una capatina da Feudi di San Gregorio, Sorbo Serpico, Avellino. Era poco più di un anno fa e in compagnia di Pierpaolo Sirch, uno dei migliori agronomi in circolazione e neo – direttore dell’azienda, ho avuto la fortuna di fare una passeggiata in mezzo ad un’incredibile vigna di aglianico, anche questa allevata in maniera non proprio moderna (ecco il video che ho girato per WineNews).
Non voglio dire che si stava meglio quando si stava peggio, la viticoltura italiana ha fatto sicuramente passi da gigante ma un’indagine su certi fenomeni forse non ci starebbe male. Magari cominciando a declinare e specificare le situazioni, facendo distinzioni caso per caso, zona per zona, varietà per varietà.
Evitando che generiche parole d’ordine spazzino via, ciclicamente, il bambino con l’acqua sporca. E ragionando, finalmente in maniera seria nel nostro paese, sul valore inestimabile delle vigne vecchie.
Vigna di trebbiano “maritata”