Vecchi bianchi italiani. La via dell'eccesso e il palazzo della saggezza

Beh, perché quelle facce? Avevo detto che mi sarei immerso nei vini bianchi, che volevo cavalcare le mode del momento, no? Ah, dite che bere una ventina di bottiglie in 7-8 persone non è stare al passo coi tempi ma semplicemente alcolismo?

Siete convinti che proprio non riuscirò a far passare come un approfondimento didattico-scientifico questa colossale bevuta?
Eppure, eppure… al di la della comune inclinazione etilica dei commensali (altro che bere responsabile e inviti alla moderazione, è sempre la via dell’eccesso che conduce al palazzo della saggezza), le bottiglie che vado a raccontare, servite rigorosamente coperte, hanno dato molte più risposte di chissà quali seminari, tasting tematici o dotte elucubrazioni agronomico-enologiche. Focalizzando l’attenzione su alcuni bianchi italiani di grandissima stoffa, capaci di sfidare o meglio di accompagnare il tempo in un percorso affascinante e raro.
I vini degni di nota, scatto dopo scatto…
Precisazione: le foto non sono sfocate, siete voi che siete sobri…

Collestefano – Verdicchio di Matelica 2002
Altro che vino a metà, tutto acidità e poco altro. Il Collestefano di annata giusta è si una lama che trova profondità assolute ma anche caleidoscopio aromatico, dagli agrumi ai cenni marini, fino a lievi sensazioni idrocarburiche. Forse, è vero, manca solo un filino di polpa a centro bocca. Ma chissenefrega lo vogliamo dire? 90/100


Pieropan – Soave Classico Calvarino 1992
Esattamente come lo ricordavo, cioè buonissimo. Alla faccia del’annata minore (e dei dieci euro che ho sborsato in cantina per comprarlo…): ha naso da riesling per via di un frutto maturo ma teso e di qualche accenno di idrocarburo, ma anche note pepate e polvere di caffè. Il palato è sinuoso e giovanissimo, bevibile da far paura anche per via di una materia non imponente. 88+/100

Fattoria San Lorenzo – Verdicchio dei Castelli di Jesi Vigna delle Oche Classico Riserva 2001
Sinceramente, a suo tempo, questo vino mi aveva fatto impazzire. Dunque, come sempre avviene quando si cade dall’alto, il botto è stato grosso. Vino molto evoluto, profumi e gusto su toni di zucchero filato, caramello, mela e ananas stramatura, alcolico e monolitico in bocca, con una fastidiosa nota collosa. 79/100


Bragagni – ravenna Bianco Rigogolo 2006
(magnum)
Per essere affascinate è affascinante, quest’albana. I profumi sono di eccezionale intensità, ricordano i cereali e lo zucchero di canna, la torta di carote e i semi di girasole. Il fatto è che il palato, invece, mostra una certa diluizione alcolica, denunciando movenze un tantino impacciate. 83/100


La Monacesca – Verdicchio di Matelica Riserva Mirum 2001
Se non è il bianco di giornata poco ci manca, ma questa non è una sorpresa. Aromaticamente strepitoso, mette insieme vivacità agrumata e finezza floreale a bellissimi cenni di mandorla e anice; il tutto con polpa, sostanza, scatto perentorio al palato, che è pure potente e saporitissimo. Davvero un grande bianco italiano (solo un minimo accenno alcolico finale gli impedisce di spuntare un punteggio ancor più importante). 93/100

Colli di Lapio – Fiano di Avellino 1999
Se mi vanto di qualcosa nel riconoscimento dei vini è quello di non confondere mai alla cieca fiano e greco. E infatti avevo preso questo vino per un greco… Mah, il fatto è che sulle prime mostra pieghe aromatiche e fisiche così imprevedibili e distanti dalla linearità di un fiano da portarmi fuori pista: profumi cerealicoli, quasi valentiniani, acidità che sgomita, tutt’altro che composta. E’ vero che nel bicchiere il vino si apre e si distende a meraviglia, che la foglia di cedro fa capolino insieme alla mineralità rocciosa e la nocciola tostata (questa mi riporta subito sul fiano), marcando un timbro lievemente fumè. Sapido senza apparire salato. 91/100


Sartarelli – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Tralivio 1997
I bianchi Sartarelli si distinguono per una certa pienezza e maturità che incrociata all’annata non certo fresca doveva tirar fuori qualcosa di molto diverso da quello che ci siamo ritrovati nel bicchiere. Riflessione cervellotica a parte il vino ci ha convinto: potente e allo stesso tempo dinamico, buccioso con note marine (quasi di ostrica) a rinfrescare un quadro convincente che mostra col passare dei minuti belle nuance terziarie di tabacco da pipa e caramella al miele. 88/100


Belisario – Verdicchio di Matelica Riserva Cambrugiano 2002
Il colore oro antico introduce profumi lievitosi,  poco articolati, che dipingono un quadro un tantinello immobile. Anche la bocca è piuttosto ferma, monolitica, con qualche diluizione alcolica. Non è il mio vino. 82/100

Colonnara – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Tufico 1999

Parte benissimo e trova subito spunti originali di grande intensità balsamica (canfora) e minerali (polvere di gesso) uniti a freschi riverberi di foglie di limone. Il fatto è che questa componente aromatica si fa ben presto un po’ invadente, coprendo tutto il resto, anche in un palato che comunque dimostra profondità e tempra. 89-/100


Garofoli – Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Serra Fiorese 1996 (magnum)
Anche qui si parte su note rieslingeggianti, con quel contrasto aromatico dolce-acido che in questo caso incrocia anche bellissime sfumature di botrite. Palato coerente in modo impressionante e vino di bevibilità assoluta. Tutto bene, dunque, se non fosse per la mancanza di un pizzico di complessità e di chiaroscuri che lo rendono, sorso su sorso, un filo prevedibile. 87/100
I più arguti di voi avranno forse notato che la degustazione era impercettibilmente sbilancia su una certa tipologia di vino, indizio buono per risalire alla regione dove si è svolta e alla presenza, tra gli altri, di Pierpaolo “verdicchio” Rastelli (cui va la mia personale standing ovation…)
L’opera in cima è il “Newton” di William Blake, 1795

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