
Sarà la ventesima bottiglia stappata/bevuta del Miniere 2016 e a memoria il bilancio è più o meno questo:
1 tappo inequivocabile.
1 tappo sospetto e comunque bottiglia sicuramente non a posto.
1 usata per il risotto perché troppo selvaggia modello Cantillon.
2 usate per le scaloppine perché troppo selvagge modello Vin Jaune e sidro.
3 tra il discreto e il buono.
3 tra il molto buono e l’ottimo.
4 tra scudetto italico e andiamo a Berlino Beppe.
5 livello non lo cambio nemmeno con tre flòsh rémy tipo i fustini di dixan e lo stappo a belli e brutti per fargli sentire senza tante chiacchiere quella cosa del Greco di Tufo di Tufo buono che sa di zolfo, mare, sassi, granchi verdi, rocce, inferno, terme, schiaffi, pozzi, fiumi e cloruro di sodio doppio zero. Come questa qui.
Mica ci crediamo veramente che si senta lo zolfo perché le vigne sono vicine alla zona dove c’erano le miniere di zolfo, o perché nei terreni ci sono le pietre gialle. Lo sappiamo anche senza leggere libri di luminari che non c’è nessuna correlazione scientifica. Ma ci divertiamo lo stesso un sacco ad immaginarlo e ad evocarlo. E più sappiamo che non c’entra niente, studi alla mano, e più ridiamo e godiamo quando quello che non c’entra si palesa, e in questo modo: una cosa che teoricamente non sarebbe proprio la più appetitosa da mangiare e da bere, come lo zolfo, che diventa buonissima da gluglulare e raccontare.
È quella faccenda che dice sempre il socio brother: la capacità di rappresentazione territoriale. E non c’è nessun altro vino irpino che ce l’abbia così potente, oscena, totale, come il Greco di Tufo Miniere 2016 di Cantine dell’Angelo.
