[Dai Social] Panoramica Domaine Dujac

È sempre più raro, ma fortunatamente ancora capita, di beccare la congiuntura astrale che permetta di togliersi la sete (di conoscenza, va senza dire) con produttori oggi non esattamente alla portata di noi bevitori di classe media.

Grazie alla Vietti Experience in Borgogna e al “Magister” Giancarlo Marino, nelle ultime settimane è stato possibile bere, sì bere, diverse bottiglie del Domaine Dujac, tra cui una decina di annate del suo vino probabilmente più rappresentativo – il Clos de la Roche – insieme ad alcuni inediti (almeno per me) come Granchères o Malconsorts.

Orbene, non è che si stia parlando propriamente di una scoperta dell’ultim’ora, ma l’impressione è che l’azienda guidata dallo zidanesco Jerémy Seysses sia definitivamente entrata nella ristretta schiera dei “super galacticos”. Non più semplicemente “quella dei Côte de Nuits coi raspi, da stappare dopo almeno 15-20 anni”, come me la introdussero quando avevo ancora i capelli, ma una realtà che gioca ormai nello stesso campionato di DRC, Leroy, Rousseau, Roumier e pochi altri.

Inutile sfilzare liste, descrittori o “classifiche”, ma 4 vini di 4 decenni diversi che condensano la magnificenza di un percorso unico e di uno stile inconfondibile: Clos de la Roche 1993 (la “vecchia” Borgogna che fa a tempo diventare più contemporanea dei presunti moderni), Chambolle 1er cru Granchères 2001 (dopo tre settimane c’è ancora il suo nitore maggesco nell’aire tipo profumatore d’ambiente), Clos Saint-Denis 2010 (Interstellar) e il Clos Saint-Denis 2020 che verrà (brividi carnali e taumaturgie espettoranti).

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.