Claudio Barbi non era un tipo facile. L’ho conosciuto da ragazzo, fresco di un ruolo nel vino che provavo ad afferrare, rimanendo affascinato da quell’uomo imponente e risoluto, ambizioso e curioso. Con lui c’è stato confronto, in alcuni casi scontro, ma anche rispetto e un accenno di sorriso in ogni chiacchierata.
E’ stato lui a immaginare Decugnano e ad accompagnare il progetto per un bel tratto di storia. Perché se quella remota risale al 1212, come testimonia un vecchio carteggio, è nel 1973 che comincia l’impresa che conosciamo oggi. L’anno in cui la proprietà passa in mano ai Barbi, famiglia bresciana da tempo impegnata nel commercio di vino che si affacciava per la prima volta al mondo della produzione; con Claudio, poco più che ventenne, a definirne i tratti. Pare che i rapporti col padre fossero piuttosto burrascosi e l’idea del trasferimento a Orvieto, a condurre la nuova avventura, sembrò buona a entrambi.
Sono anni pionieristici per il vino italiano, figuriamoci per quello umbro. Comincia il restauro della tenuta che all’inizio comprende 4–5 ettari di terreno, qualche filare di viti malconce, alcuni ruderi e una stalla che fungeva anche da abitazione. Niente acqua né luce, per dire.
I primi vini sono i bianchi classici di Orvieto, ovviamente, ma anche due stranezze uscite fuori dalla curiosità del nuovo proprietario: una muffa nobile, figlia dei viaggi-studio in Francia (quella che si chiamerà Pourriture Noble), e un metodo classico (il primo fatto in Umbria, nel ’78, al pari di quello dei Lungarotti).
Gli anni passano velocemente e l’azienda cresce, fino a diventare una delle più affascinanti e solide della zona. Oggi gli ettari sono 32 ettari, su colline di origine pliocenica dove è facile imbattersi in fossili di conchiglie e ostriche. Un mare antico di clamoroso fascino, che regala ai vini sale, freschezza e vita.
Ora alla guida della cantina c’è Enzo, deciso a seguire il progetto del padre con sguardo sempre più personale. Le sue idee si stanno facendo strada, a cominciare da una mini rivoluzione che ha investito i nomi dei vini e le etichette. <<Non credo nell’immobilismo e amo i cambiamenti – dice con il suo sorriso gentile-. Così sento di essermi finalmente impadronito del progetto>>. Comprensibile.
Veniamo al dunque. Da qualche anno c’era l’idea di stappare alcune vecchie bottiglie dal caveau aziendale, di tutte le annate disponibili. Non una verticale ufficiale ma un gioco tra amici, senza paracadute né aspettative. Dopo averne parlato tanto, ce l’abbiamo fatta.
Siamo d’accordo: quando si va molto indietro nel tempo è meglio parlare di grandi bottiglie, più che di grandi vini. La variabilità di ogni singola esperienza invita alla cautela, ma qualche considerazione credo si possa fare.
Intanto l’ennesima conferma che Orvieto è una grande terra da vini bianchi. Anche quando non vengono pensati per invecchiare e nonostante le contraddizioni umane, loro ci riescono lo stesso.
Più in generale, la degustazione è servita a fotografare le epoche recenti del vino italiano e quelle della cantina. Il movimento pionieristico dei primi anni ’80, con vini meno tecnici, nel bene e nel male; il rinascimento di fine anni ’90 – primi anni Zero, non senza gli eccessi che conosciamo; la piena maturità stilistica e il ritrovato equilibrio territoriale.
Infine, l’evoluzione varietale dei vini. Dal paradigma classico orvietano, totalmente autoctono, passando per vari avvicendamenti che non disdegnano varietà internazionali o uve meno tradizionali come il vermentino.
Un’esperienza molto bella, al di là dei singoli vini, che ha fatto emergere il territorio in maniera netta. Un’altra prova di come potrebbe e dovrebbe essere Orvieto.
In pillole
- Acquisto dell’azienda da parte della famiglia Barbi: 1973
- Vini assaggiati: Orvieto Classico e Orvieto Classico Superiore (quello che si chiamava “IL” e, dal 2018, Mare Antico)
- Prima annata prodotta: 1978
- Prima annata degustata: 1981
- Gli inizi vedono l’impiego di trebbiano, verdello e una quota di grechetto; vinificazioni a grappolo intero e contenitori di acciaio. Il legno viene usato per la prima volta nel 1994, con la nascita del vino “IL”. Blend di grechetto, chardonnay, trebbiano che cambia nel tempo fino all’assemblaggio attuale che prevede grechetto, chardonnay, vermentino e una piccola quota di trebbiano.
La degustazione
Orvieto Classico
1981 – Colore giovanile, brillante, ancora su fiori e agrumi gialli; bocca verticale, acida ma non punitiva. Bella lunghezza finale. ****
1982 – Colore oro brillante, più sulla frutta gialla come cotogna e foglia di tè; bocca splendida, dolce e tesa, acida e molto lunga, con nota di mandorla fresca e lieve immaturità finale. ***
1983 – Oro brillante, schema simile al precedente ma molto acidulo e crudo nel finale. **
1984 – Nota coprente che ricorda la plastica bruciata, molto acido e sfuggente. *
1985 – Cotogna, lievemente marsalato, tannico e dal finale asciutto. *
1986 – Giallo ocra, cotogna golosa con accenni freschi di erbe mediterranee (elicriso); bella polpa, canfora, finale ammandorlato e resinoso. ****
1987 – Colore impressionante, vivo e lucente; aromi agrumati ma finale un po’ secco e corto. ***
1988 – Agrume candito, vivido; al naso lieve acciughina che poi si dilegua; bocca acidula. ***
1989 – Bottiglia evoluta con note di pan di spezie, cotogna e foglie secche; bocca carnosa, saporita, lievemente tannica ma di buon sapore. ***
1990 – Lieve riduzione casearia (crosta di formaggio) che se ne va dopo qualche minuto e lascia il campo a fiori gialli e frutta fresca. Bocca spettacolare, polposa, sapida e croccante. Finisce con aromi da grande Champagne, tra burro e pasticceria. ****
1991 – Punto di evoluzione ma ancora gradevole, con aromi di pasta di mandorle. Affascinante, compiuto, sapido. ****
1992 – Riduzione che ricorda ancora una volta la plastica bruciata, poi agrumi freschissimi e acidità spinta. ***
1993 – Naso intenso, lieve pallina da tennis, mela cotta e zucchero a velo. ***
1994 – Marsalato. NG
1995 – Evoluto, sfibrato. NG
1997 – Versione riuscita, su nuance di frutta matura e zucchero a velo. Certamente un vino che cavalca una certa idea di modernità, con qualche accenno erbaceo e di frutta dolce. Forse un po’ noioso. ***
1998 – Vino lievemente velato, affascinante e suadente, con cenni di zenzero, pan di spezie e meno frutta del precedente. Equilibrio, tocco vegetale e di corteccia appena accennata. Finale lungo. ****
1999 – Evoluto, asciutto. *
2000 – Nota lievemente bruciata, aromaticità vegetale che ricorda l’ortica; bocca vuota. **
Orvieto Classico Superiore IL (attuale Mare Antico)
1994 – Vino molto bello, serrato, compiuto, profondo, con lieve sensazione finale di cenere. ****
1995 – Polline, frutta gialla, coerente; bel sorso, pieno ma scattante, con chiusura ancora sul polline. Tra i vini più coinvolgenti dell’intera degustazione. *****
1996 – Ricco, dorato, lucente, tra frutti e foglie autunnali; solare, punta di grafite, saporito, pieno senza perdere la tensione (da magnum). ****
1997 – Naso molto aromatico, lievemente terziario, terra bagnata e banana flambé. ***
1998 – Terziario, con sensazioni ferrose; bocca piena ma lievemente alcolica e asciugante. ***
1999 – Naso non molto espressivo, tecnico, poco dinamico; finisce amarognolo e corto. **
2000 – Naso caldo, con note di pesca matura e zucchero a velo; meglio la bocca, su cenni di agrumi fermentati (forse c’è un lieve tappo). **
2001 – Legno impattante, cera d’api, monolitico. **
2003 – Caldo, frutta sciroppata, caramella d’orzo e note tostate. **
2006 – Ricco, polposo, bella sfumatura di miele e agrume candito. Molto coerente, dimensionato e gastronomico. ****
2010 – Ferroso, verticale, poco saporito. **
2011 – Vino spettacolare, bellissimo, non teme paragoni illustri anche fuori dall’Italia. Lucente, profuma di roccia bagnata e lievi fili d’erba; sorso teso, verticale, infinito. *****
2012 – Nota medicinale invadente. NG
2013 – Agrume chiaro, polline, minerale con richiami rocciosi; lungo, setoso e profondissimo. *****
2014 – Tocco di botrite di un certo fascino; versione curiosa ma accattivante. Suggestione: ricorda Campo del Guardiano 1992 di Palazzone. ***