Detto e ridetto in tutte le salse, ma sempre meglio ripetere, soprattutto quando è inutile: un vino longevo e anche molto longevo (come oggettivamente è l’Aglianico di Taurasi) non diventa automaticamente grande.
Evito dunque di porre l’accento sul brillante stato di forma con cui si mostra a 21 anni dalla vendemmia (sì, quelli nati nel 2001 oggi possono bere in America e io aggiungo un’altra copertina sul divano); conta piuttosto che questo Radici Riserva Etichetta Bianca fosse molto buono all’uscita, sia molto buono ora e quasi certamente sarà molto buono ancora a lungo.
Chi volesse stapparlo adesso, lo troverà succosamente settembrino, come in quei giorni in cui il calendario dice che è già autunno ma il bosco non lo sa (non vuol dire assolutamente niente, ovvio, era solo per provare a dire in tre parole che tutto il repertorio di un Taurasi classico bordeggiante la fase di giovane adulto maturo – e cioè il porcino, il sigaro, la carne conciata, il cuoio, l’incenso, il bastoncino del Liuk e tanto altro – è qui foderato di riverberi estivi scevri da tormentoni Righeiriani: frutto frutto frutto, ombreggiato ma frutto, con le piante espettoranti, le rugiade, il riff pepato, il gorgheggio acido e il rullante tannico che non ha bisogno di sbattersi per ricordare che il batterista ci sa fare, eccome. Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio)