Se i 2020 hanno ancora la sordina inserita, i bianchi 2019 appaiono pienamente definiti da quella che si configura come una classica “annata calda alla campana”.
Ovvero: un bel gruppo di vini tonici e solari, raramente surmaturi, seduti o sfibrati, magari senza grandi sferzate citrine né particolari picchi di complessità o sapore, ma generalmente espressivi e bilanciati.
Come ci insegnano vendemmie in qualche modo sovrapponibili (tipo 2015, 2012 o 2008), i migliori potranno aggiungere dettagli con la sosta in bottiglia, ma personalmente limiterei le scorte da accantonare e me li godrei anche e soprattutto in fase giovanile, senza tanti pensieri.
In questa prospettiva, porto via da Campania Stories:
> Fiano di Avellino Di Prisco perché è probabilmente il 2019 più energico, scapigliato, “libero”.
> Fiano di Avellino Vigne Guadagno perché è il più “bianco”: respirabile, gessoso e senza fronzoli.
> Fiano di Avellino Rocca del Principe perché è paradigma montano di Lapio, tra agrumi ed erbe officinali, anche in una versione meno elettrica del consueto.
> Greco di Tufo Miniere Cantine dell’Angelo perché quella tessitura di sapore ce l’ha solo lui e stavolta la mette al servizio di tinte mediterranee.
> Greco di Tufo Vigna Laure Riserva Cantine Di Marzo perché giallo fané al naso + austero scaleno nel sorso = grecoso da manuale. Fascino e concretezza.
> Greco di Tufo Nassano FeudiStudi* perché è tufese fino al midollo, tutto roccia, iodio e schiaffi.
> Greco Pietracupa perché è tanto essenziale quanto vigoroso: classico, saporito, prospettico.
> Caprettone Benita ’31 Sorrentino perché se la gioca sulla spalla orizzontale, senza far mancare infiorescenze, macchia e scheletro fumé.
* nota di trasparenza: collaboro al progetto e curo per l’azienda Feudi di San Gregorio la collana di pubblicazioni “FeudiStudi: vigne e vini d’Irpinia”