Campania Stories 2020 #3 | I cru 2018 di Villa Raiano

2020-09-02 10.48.15

«Quando cammini su strada, se cammini su destra va bene. Se cammini su sinistra, va bene. Se cammini nel mezzo, prima o poi rimani schiacciato come grappolo d’uva».

Vi pregherei di passare ad altro blog, se non avete immediatamente riconosciuto le parole del Maestro Miyagi: uno dei passaggi-chiave dell’addestramento di Daniel LaRusso aka Karate Kid, opera basilare di formazione per qualunque Xennial * che si rispetti, altro che Kerouac o Salinger.

Come ben sappiamo, gli insegnamenti del saggio sensei di Okinawa si estendono naturalmente dal tatami alla vita, vino compreso. In questo caso, ad esempio, fotografando perfettamente le difficoltà al limite del periglioso da affrontare per le aziende che decidono di posizionarsi “in the middle”. Quelle da 200-400.000 bottiglie, per capirci: troppo piccole per godere realmente delle economie di scala di una realtà “industriale”, troppo grandi per essere percepite come “artigianali”.

Il paradigma di questa tipologia di cantine dalle mie parti è senza dubbio Villa Raiano, non soltanto per una questione di numeri. In primo luogo è un progetto molto diverso da quelli che prendono forma in Irpinia nel periodo del boom di nuovi vinificatori, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000: non è né il marchio creato dai viticoltori-conferitori che si mettono in proprio (alla Salvatore Molettieri, Clelia Romano o Benito Ferrara, per intenderci), né il passatempo del notaio-dottore-avvocato-ingegnere che decide di destinare le vigne di mamme, papà, zii e nonni a seconda attività. Villa Raiano è piuttosto una delle poche aziende della provincia di Avellino derivanti da una solida e radicata esperienza imprenditoriale, come quella maturata dalla famiglia Basso con l’omonimo Oleificio di San Michele di Serino.

Sabino, Fabrizio, Federico, Brunella e Simone Basso

Affiancati ormai in pianta stabile dai giovani figli Federico e Brunella, difficilmente vi imbatterete nei fratelli Sabino e Simone in canottiera sul trattore a fare i trattamenti. Molto più facile incrociarli in giacca e cravatta, magari reduci da una tournée a New York e Shangai: non esattamente l’immaginario più cool, di questi tempi, per un certo profilo di appassionato (sto alzando anch’io la mano, sia chiaro), che insieme alla bottiglia buona, qualunque cosa significhi, vorrebbe portarsi a casa anche un’esperienza, un sentire, una storia scaturenti da vissuti di vigneron “totali”. E’ altrettanto vero, però, che difficilmente si mette insieme in poco più di 20 anni, con la sola poesia, una piattaforma vitata così importante come quella facente capo oggi all’azienda, dislocata tra le principali aree irpine.

Ci sono poi gli aspetti stilistici. Fin dagli esordi, i vini di Villa Raiano si propongono come una sorta di “terza via” nello scenario interpretativo avellinese, soprattutto per quel che riguarda i bianchi. Anche qui la storia si ripete: non sono né i Fiano e Greco fruttosi-morbidosi della Feudi di San Gregorio di allora, ma neanche i duri-e-puri dei “piccoli” tipo Vadiaperti, Villa Diamante, Pietracupa, Marsella e compagnia. Finché nel 2009 prende il via il progetto dei cru, che contribuisce progressivamente a rimescolare le carte, configurandosi come una sorta di “cantina nella cantina” chiamata a dare forma a selezioni tirate in poche migliaia di bottiglie, differenziate non solo per luogo d’origine, ma anche per opzioni di lavorazione.

Nonostante qualche fisiologica oscillazione prestazionale, è una proposta che ha sicuramente il merito di avvicinare una nuova fetta di bevitori curiosi ed aperti, con riscontri in larga parte positivi. Leggendo e ascoltando, tuttavia, in questi anni mi sono spesso ritrovato a registrare analisi quasi di segno opposto, anche a fronte delle medesime valutazioni. Da una parte chi li apprezza ma li percepisce comunque un po’ algidi e cerebrali rispetto ai benchmark irpini, dall’altra chi li sente perfino troppo anarchici, selvaggi, grammaticalmente non sempre ortodossi. Dura la vita nel “mondo di mezzo”: quanto hai ragione, maestro Miyagi.

A Campania Stories c’è stata la possibilità di assaggiare per la prima volta la gamma completa dei bianchi “single vineyard” di Villa Raiano, tutti insieme e tutti provenienti dalla stessa annata: la sempre più entusiasmante 2018. Per quanto mi riguarda emerge forte e chiara l’impronta di un percorso maturo nell’identità espressiva e nella riconoscibilità territoriale dei vini, quantomeno in rapporto alle macro-aree di provenienza. Costantemente ai piani alti delle hit parade millesimali, sono soprattutto sempre più letture fedeli e coerenti di quanto plasmato da quella vendemmia in quella specifica zona.

Scherzando con l’enologo Fortunato Sebastiano, consulente dell’azienda dal 2009, ci figuravamo un virtuale “Fiano perfetto”, o giù di lì, da assemblare con la classicità aromatica, balsamica e affumicata, del Bosco Satrano (San Michele di Serino), l’armonia polposa e agrumata del Ventidue (Lapio) e il vigore salino dell’Alimata (Montefredane). E’ appunto il gioco dei cru, che per certi versi rinuncia in partenza alla realizzazione del “miglior vino possibile”, più facilmente ottenibile dagli apporti sinergici del blend, per lasciare spazio alle peculiari voci soliste.

Se gerarchia deve comunque essere, di fronte alla rosa dei 2018, azzardo: Ventidue al comando (personalmente mai trovato così complesso, coeso e articolato), seguito da Alimata (più chiuso in questa fase, con bizzarri timbri di provola affumicata) e Bosco Satrano (come detto ultratipico al naso, ma di sviluppo più semplice). Il consiglio però è di recuperarli e testarli insieme, apprezzandone in primis l’enorme valore didattico, completando poi il quadro con il nuovo cru di Greco di Tufo.

È il Ponte dei Santi, proveniente da una vigna posta sul confine tra Altavilla e Chianche: qui l’identikit espressivo è ancora tutto da scrivere, mancando sostanzialmente riferimenti di altri vini prodotti più o meno nel medesimo micro-distretto, ma il debutto è a dir poco promettente per come combina un profilo olfattivo quasi fianeggiante (infiorescenze, iodio, fumo) con il sorso più irrequieto e scalpitante.

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