
C’è un posto, di là dal fiume, dove si raccolgono tutte le note non scritte.
Quelle dei vini non abbastanza grandi o non abbastanza tristi da innescare superlativi, iperboli e metafore.
Quelle dei vini buoni, ma non così buoni come le loro migliori versioni.
Quelle dei vini medi o mediocri, ma solo se confrontati con i totem (i benchmark, direbbero i bravi) del loro ecosistema di vitigni-territori-interpreti.
999 volte su 1.000 queste righe avrebbero raggiunto la colonia delle altre mai pubblicate senza nessun rimpianto di nessuno: non il “miglior” Cotat possibile, men che meno il “miglior” Sancerre, figlio di un’annata che arriva e ti pigli perché non è giusto da cliente e bevitore comprare e bere solo nelle annate “tue”.
Perché a nessuno interessa leggere di vini ordinati e asciutti, che ti sorprendono e alla fine ti soddisfano più per i limiti che ti aspetti e non hanno (tipo un varietale sbrodolante o una seduta alcolica), che per pregi distintivi che te lo faranno ricordare anche con la dentiera.
Però, che qualcuno li annoti o meno, noi “non abbastanza” esistiamo: e stasera restiamo di qua dalla riva e vi ronziamo nelle recchie, con la scusa del Monts Damnés 2017 di Pascal Cotat.