
L’articolo che segue è stato pubblicato sul mensile Gambero Rosso (anno 28, numero 327, Aprile 2019). E’ il racconto di una verticale unica e irripetibile: 42 anni del Rosso di Montalcino firmato Baricci (14 annate tra 1975 e 2017), ma soprattutto la storia di un autentico pioniere e di una grande famiglia dal vino italiano
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Per Montalcino è molto più di un anno iconico, il 1955. Data che ricorre regolarmente nella storia del borgo e dei suoi celebri vini, quasi fosse «punto di congiunzione astrale dotato di una qualche importanza cosmica», per dirla con le parole di “Doc” Emmett Brown in Ritorno al Futuro. Guarda caso: il medesimo anno centrale nel film. Nel quale l’Istat segnala Montalcino come uno dei comuni più poveri d’Italia per reddito pro-capite, ma anche quello che dà forma al Brunello-totem per antonomasia, la Riserva ’55 di Biondi Santi.
Proprio negli stessi giorni in cui Nello Baricci archivia la sua vita da mezzadro e acquista il podere Colombaio a Montosoli, con l’aiuto del Fondo per la Piccola Proprietà Contadina. Anticipando ed ispirando i tanti coltivatori diretti che negli anni a seguire avrebbero trasformato il comprensorio in un vero e proprio distretto plurale. Classe 1921, secondo di cinque figli, il “Bariccia” cresce tra Poggio Martelli e Podere Scopone in una famiglia colonica. Anche qui destini che si intrecciano: Franco Biondi Santi (di qualche mese più giovane) viene allattato da Annina, mamma di Nello, e i due resteranno per sempre legati da affetto e stima, ben oltre le differenze parentali, sociali e aziendali.

Il trasloco a Montosoli coincide col gelido e nevoso inverno del ’56, ma serve ancora un decennio per la sistemazione di vigne e cantine. Nel frattempo Montalcino comincia lentamente a reagire alla grave crisi economica e demografica, anche e soprattutto grazie alla vitivinicoltura. Sempre supportato dalla moglie Ada (e poi dai figli Graziano e Graziella), Baricci figura come primo firmatario del documento che istituisce il Consorzio nel 1967, a cui aderiscono inizialmente 25 soci.
Ma a renderlo un pioniere a suo modo unico nell’epopea della zona è l’intuizione che lo porta a dedicare particolare attenzione fin dagli esordi al “Rosso dai Vigneti di Brunello”, antesignano della tipologia oggi tutelata dalla Doc Rosso di Montalcino. La prima bottiglia ufficiale firmata dall’azienda è infatti il Rosso 1968, mentre il Brunello debutterà solo qualche anno dopo con l’uscita della versione 1971. Espressioni molto diverse del sangiovese grosso, ma trattate come interpretazioni perfettamente complementari in oltre mezzo secolo di attività, senza assecondare quel ricorrente sottotesto che ancora li gerarchizza in vini di serie A e di serie B.
Il Rosso del Podere Colombaio non è mai stato un “piccolo Brunello”, come troppo spesso viene raccontato dagli stessi produttori. Del resto i numeri parlano chiaro: Baricci è una delle pochissime realtà di Montalcino che propone grossomodo lo stesso numero di bottiglie annue rivendicate a Rosso e Brunello (circa 15.000 per tipo). Una scelta in verità condizionata anche dai limiti di spazio e stoccaggio, che di fatto obbligano ad imbottigliare una quota significativa delle masse in maturazione (rovere di Slavonia da 20 e 40 ettolitri principalmente) a 15-18 mesi dalla vendemmia.
E però un piacevolissimo effetto collaterale per noi, che ci ritroviamo con un vino d’entrata solo nel prezzo, pensato con la medesima cura riservata al “fratello maggiore” e le stesse opzioni per quanto riguarda fermentazioni, macerazioni, selezione delle botti di affinamento. Ma soprattutto a partire dalle migliori uve coltivate nei cinque ettari di proprietà: sei parcelle contigue collocate nel segmento orientale della collina di Montosoli, vicino alla cantina, tra i 240 e i 290 metri di altitudine. Un vero e proprio “cru nel cru”, tanto sul piano pedoclimatico quanto su quello espressivo. Da una parte l’impronta austera e terrosa evidenziata dai vini che prendono forma nel settore nord di Montalcino, solitamente il più fresco e tardivo dell’areale. Dall’altra un carattere quasi “sudista” che si palesa nelle suggestioni candite, speziate e silvestri, nella rigogliosa fibra sapida, nella fittezza tattile che rende per molti versi unico il sangiovese di Montosoli, e ancor di più nella lettura di Baricci.
Nello se n’è andato nell’aprile del 2017, ma solo da poche stagioni aveva smesso con i lavoretti in vigna, dopo aver passato definitivamente il testimone in cantina al genero Pietro Buffi (marito della figlia Graziella), e ai nipoti Federico e Francesco. Non poteva esserci modo più bello per ricordarlo ed onorarlo che con questa stupenda verticale, la prima in assoluto a vedere protagonista un Rosso di Montalcino sulle pagine del mensile e insieme una delle retrospettive più profonde mai dedicate alla tipologia.
Dal 1975 al 2015: un quarantennio ripercorso in 13 tappe (più un’anteprima) per apprezzare una volta di più il modo in cui sa conservarsi nel lungo periodo saldo e sereno, senza per questo negare il suo lato più coinvolgente ed empatico in gioventù. La bellezza è tutta qui: in quel respiro transgenerazionale che lo consegna all’élite dei vini “epici”, figli di un’era per molti versi lontanissima eppure capaci di svelarsi così incredibilmente contemporanei.
La verticale (1975-2017)
La degustazione si è svolta il 23/10/2018 a Buonconvento (SI), presso l’Enoteca de La Porta di Sotto, di Stefano Sardone. Hanno partecipato: Pietro, Federico e Francesco Buffi, Antonio Boco, Gianni Fabrizio, Franco Pallini
Vino Rosso dai Vigneti di Brunello 1975
Non è solo per il valore documentaristico che lo consideriamo uno dei più emozionanti della verticale: il Rosso ’75 è in primo luogo vino vivo e vitale, da godere a tavola esattamente come i suoi fratelli minori. Foglie di thè, mandarino candito, legno antico, poutpourri, è un’evoluzione elegante a ritmare il sorso ancora tonico, salmastro, di trama integra e rifinita.
Vino Rosso dai Vigneti di Brunello 1978
Finisce in buona sostanza pari e patta la sfida tra i due “vecchietti”, solo anagraficamente. Il ’78 appare quasi giovanile per l’intensa presenza fruttata (amarena, pesca gialla, arancia sanguinella), arricchita da tocchi ematici e affumicati; la bocca non è da meno in termini di spalla e vigore sapido. Avanza sferico e carnoso, senza scissioni, evidenziando qualche spigolo tannico maggiormente in rilievo.
Rosso di Montalcino 1983
L’83 è una versione mito per il Brunello di Baricci, non a caso citato da Gianfranco Soldera tra i suoi preferiti. Annata che si conferma felice in un Rosso maturo nelle suggestioni di confettura, tartufo bianco, curry, ma ben ravvivato da più fresche coloriture fruttate e officinali. Ancora solido e reattivo anche il palato, disegnato dalla prorompente salinità e dalla precisa grana estrattiva, appena brusco in chiusura.
Rosso di Montalcino 1984
Poche vendemmie scontano peggior fama della 1984 e Montalcino non fa eccezione. Da Baricci è addirittura ricordata come l’ultima in cui non si è prodotto Brunello: valeva insomma la pena confrontarsi con questo Rosso “potenziato”, che vinse comunque il primo premio a Siena Verde. Lo troviamo piuttosto ammaccato nei richiami di mostarda e porcini, un po’ troppo crudo e repentino nello sviluppo, ma in ogni caso ancora in piedi.
Rosso di Montalcino 1988
Se la cifra espressiva del cru è condensata nello speciale connubio di tessitura saporosa e austerità tattile, il Rosso ’88 è il più “montosoliano” della verticale. C’è un lato autunnale di infusi, humus e caffè, ma anche un controcanto più arioso di bergamotto ed essenze termali; la bocca corrisponde col suo passo diretto e sostenuto, appena scoperto sul finale per una leggera diluizione alcolica, accentuata dal severo tannino.
Rosso di Montalcino 1990
Per molti versi sta al Rosso ’88 come il’75 sta al ’78. Ovvero più densità di frutto ed espansione “orizzontale”, ma forse anche minore scheletro verticale e finezza estrattiva. Altrettanto affascinante, comunque, nel gioco di ciliegie, caramelle e coloniali, con un fondo viscerale ad anticipare la trama calda e selvaggia che domina il sorso e lo traghetta verso un finale ruvido ma spontaneo di brace, curry e kriek.
Rosso di Montalcino 1994
L’ordine di servizio non lo aiuta, rendendolo suo malgrado un po’ vaso di coccio in mezzo a due grandi versioni. E’ però un ’94 tutto sommato riuscito, considerando la vendemmia non certo esaltante, che si difende bene in particolare al naso: agrumi chiari, erbe in infusione, tocchi balsamici. Sottile ma progressivo nell’incedere gustativo, si stringe nel finale senza smarrire completamente il ritmo salino.
Rosso di Montalcino 2001
Vera e propria summa dello stile Baricci, il Rosso 2001 è semplicemente un vino fantastico, completo in ogni dettaglio. Chinotto, cardamomo e grafite giusto per cominciare, cambia pelle più volte senza cedere un millimetro nel bicchiere in termini di definizione ed integrità. Sfaccettato e multidimensionale anche al palato: ampio, avvolgente, appagante, armonizza la potente polpa con l’esplosivo supporto sapido.
Rosso di Montalcino 2004
Probabilmente ci siamo imbattuti in una bottiglia non perfetta, anche alla luce di precedenti assaggi, ma il Rosso ’04 regala comunque spunti di interesse. In particolare nel primo impatto olfattivo, con timbri di frutti di bosco, erbe medicinali e resine quasi “chiantigiani”; poi cala vistosamente su toni terziari che si legano alla bocca un po’ troppo scarna e di grana amarognola.
Rosso di Montalcino 2006
Anche la 2006 rientra nel gruppo delle riuscite “poco fumo e tutto arrosto”. Non il più rifinito aromaticamente, per via degli evidenti tratti ematici ancor più incupiti dagli accenti di mora in confettura, chinotto, porcini, frutta secca. Ma totalmente riscattato da un sorso accogliente e irradiante, ricco di stoffa e sapore, senza alcuna deriva amarostica nonostante la prorompente alcolicità.
Rosso di Montalcino 2009
Complice l’andamento climatico quasi schizofrenico dell’annata, il Rosso ’09 si configura per molti versi come una versione a sé stante. Caramella alla fragola, china, erbe aromatiche, pepe nero, appare più fluido e sottrattivo di altri, con un fondo immaturo amplificato dal tannino polveroso e dal generoso abbraccio alcolico. Conserva tuttavia una piacevole ed empatica proporzione, non sprovvista di energia saporosa.
Rosso di Montalcino 2013
Col 2013 si avverte uno stacco netto sul piano espressivo rispetto alle bottiglie più mature. Il quadro aromatico è quasi primario nella sequenza di lampone, susina e mandarino, come nei lampi di fiori primaverili e terriccio fresco. Impostazione coerentemente sancita dal palato dritto e nervoso, che sconta in questa fase un leggero minus di spalla e finezza tannica senza rinunciare tuttavia a succo e sapore.
Rosso di Montalcino 2015
La meraviglia dello stile Baricci è chirurgicamente sintetizzata dal Rosso ’15, probabilmente destinato a seguire le orme delle migliori versioni “materiche” (’78, ’90, ’01, ’06, là dove l’altrettanto strepitoso 2016 sembra avere più di un tratto comune con le letture affusolate di ’75, ’88 e ’10). Ancora tutto sul frutto rosso ma già pieno di sfaccettature iodate e termali, ammalia col suo sorso arioso, pervasivo, gustoso.
Rosso di Montalcino 2017 (Anteprima)
Comprensibilmente ancora embrionale sotto molti punti di vista, al Rosso ’17 non mancano comunque chiarezza espressiva e fedeltà vendemmiale. Appare il classico Baricci da annata calda per le suggestioni di frutta rossa e gialla, spezie piccanti e sali da bagno: preludio di una bocca forse meno ampia e continua rispetto alle versioni super, ma innervata di sapore e a suo modo delicata nella progressione.
Foto di apertura: Carlo Franchi