
Le tirate campanilistiche non mi hanno mai particolarmente appassionato.
Anzi, di solito metto mano ai pomodori quando parte il ritornello “i vini italiani sono migliori dei francesi, ma loro sono più bravi a valorizzarli”. Cioè. La seconda parte è sicuramente vera e non credo ci sia bisogno di ricordare ancora tutte le motivazioni storiche, socio-economiche e culturali. Ma sulla prima: è un confronto insensato, oltre che inutile, a maggior ragione se non specifichiamo il campo di gioco.
Avete presente la Coppa Davis? La squadra ospitante sceglie sede e superficie, vantaggio non da poco. Quantomeno puoi costringere gli avversari ad affrontarti sul terreno loro meno congeniale. Roba da Sun Tzu, più che David Foster Wallace. Ché non si vive di soli Chambertin e momenti Federer. Il Panatta che è in me lo dimostrerebbe in quattro e quattr’otto: un quintale di polpette a tavola e vediamo chi se la cava meglio alla voce “rossi gastronomici”.
Magari la tenzone enoica coi cugini fosse una partita di tennis. Per l’occasione convocherei certamente il Vallerana Alta 2015 di Antonio Camillo. Nel poco probabile caso ne sentiste parlare per la prima volta, vi rimando ai millordici post del socio Boco (link, link e link). Se già lo frequentate, aggiungetelo alla collezione: è un Ciliegiolo eccitante, forse il più completo vino di Maremma incrociato negli ultimi anni. E non lo cambio con la stragrande maggioranza di Loira, Borgogna, Beaujolais, Rodano, Languedoc-Roussillon della stessa fascia di prezzo (una ventina di euro, più o meno).
Vi risparmio la litania dei riconoscimenti, è rosso mediterraneo nel senso migliore del termine. Accogliente, ma senza panza. Estivo, ma non sahariano. Forzuto, ma non testosteronico. Più di tutto: saporito e gustoso. E si beve con enorme soddisfazione a temperatura da rosato anche in queste giornate luciferine.
E’ uno dei più buoni, ma cercando bene se ne trovano un bel po’ di bottiglie italiche con queste caratteristiche. Un quindicennio fa non era così. Seppur disordinato e sincopato, si palesa eccome un movimento capace di restituire dignità ed ambizioni a tipologie rimaste per lungo tempo in una sorta di limbo interpretativo e commerciale. E’ la nostra “terra rossa”. E pazienza se in squadra abbiamo più dei Fognini che dei Nadal: al Roland Garros del bere mangiando ci entriamo comunque da teste di serie.
Crediti foto di apertura: La Stampa