Insegnamento fumoso

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Sono arrivato alla perdizione troppo presto e ho sempre rinnovato con anticipo la mia tessera di socio al circolo vizioso.

Poco più che diciottenne, senza sapere bene perché, decisi che era arrivato il momento di scoprire i segreti dei sigari e di tutto l’universo culturale che si nasconde oltre la cortina delle fumate più meditative e complesse. Per approfondire la materia e abbandonarmi ai piaceri dei migliori habanos, programmai di entrare nella tabaccheria più fornita della città. La mitica Bellucci era (ed in parte è ancora) un approdo sicuro per i fumatori più smaliziati ed esigenti, con humidor fornitissimi di ogni ben di dio. Altro che Marlboro e Lucky Strike.

Da quel che so, il signor Bellucci è uno dei massimi esperti di tabacco in Italia. Un vero cultore della materia con una conoscenza enciclopedica, provata e conclamata, su ogni cosa possa essere fumata.

Ora, uno sbarbatello che compra un pacchetto di sigarette è uno stupido che gli stolti possono addirittura considerare figo; al contrario, un ragazzotto che chiede lumi su un grosso sigaro o, peggio ancora, una pipa, passa come minimo da giovane-vecchio e suscita l’ilarità degli astanti. Più imbarazzante di comprare i preservativi all’ora in cui la farmacia è affollata da un gruppone di signore agée dallo sguardo inquisitorio.

Non sapendo niente o quasi della materia, ricordo di essere entrato in tabaccheria titubante e timoroso, guardando per aria tutto il tempo e aspettando il momento buono per sferrare l’attacco. Arrivato il mio turno, comincio a fare al signor Bellucci alcune domande, più o meno sensate ma propedeutiche al mio scopo: comprare il sigaro più adatto e cominciare il mio personale percorso di formazione.

Senza farla tanto lunga, quello che è seguito è stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia giovinezza. Il tipo che avevo di fronte era in effetti molto competente ma del tutto incapace di trasmettere la sua conoscenza, proiettato solo su sé stesso, con una gran voglia di dimostrare quanto lui ne sapesse e quanto io fossi poco preparato.

Al di là del caso specifico (alla fine sono contento di come sono andate le cose e forse dovrei ringraziarlo: mi ha risparmiato almeno un vizio) l’episodio sottende un comportamento molto diffuso.

Finché un negoziante si comporta così, sono fatti suoi; il problema è che molti insegnanti, docenti e formatori di vario genere non sono distanti da questo modello. Sapere non vuol dire automaticamente saper insegnare, questo è il punto.

Da quando mi occupo professionalmente di vino e gastronomia, ormai da una quindicina d’anni, ho sempre avuto l’onore e l’onere di fare formazione. In tutto questo tempo ho incontrato molti bravissimi professionisti che sono allo stesso tempo pessimi formatori. A volte sembra che l’accumulazione di nozioni sia inversamente proporzionale alla capacità di trasmetterle. Altre, molto banalmente, non è nelle attitudini di qualcuno impartire lezioni.

Nelle ultime settimane sono stato chiamato ad avviare un interessante percorso formativo nel settore vino. Come al solito mi sono impegnato molto nell’elaborazione del materiale didattico, fatto su misura per la tipologia di “allievi” che ho incontrato, ma soprattutto nel cercare di essere quanto più efficace e proficuo possibile. Dimostrare le mie conoscenze o farmi bello davanti ad una classe inesperta non è l’obiettivo che si sono dati i miei committenti. Né io mi sentirei realizzato se il tempo passato con delle persone che si aspettano di crescere in un certo settore venisse sprecato.

Capito, signor Bellucci?

crediti foto di apertura: meleam.com

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