
Ero molto curioso di assaggiare i bianchi di Orvieto della vendemmia 2015. Contrariamente ad altri, sono piuttosto convinto che i vini di questa zona, come del resto molti bianchi di impostazione mediterranea, diano il meglio di sé in annate tendenzialmente miti, se non addirittura in quelle più calde.
Difficilmente certi bianchi dell’Italia di mezzo, e me ne vengono in mente diversi, riescono a competere con i nordico – continentali sul piano dell’acidità, del nerbo, della dimensione verticale. Spesso la ricerca di quelle coordinate si rivela vana. Meglio, molto meglio, giocare la partita con le proprie armi, certamente diverse da quelle dei vini più celebrati ma non per questo meno interessanti. E’ anche una questione di coerenza nei confronti del proprio territorio, nel caso di Orvieto diviso tra suoli di origine marina e formazioni vulcaniche, e dei vitigni che ne fanno parte.
Insomma, non è un ripiego cercare la strada del sale e del sapore, dell’abbraccio alcolico e di una struttura coerente, di un’armonia di fondo che guarda alla pienezza e danza sul filo dell’equilibrio tra spalla e slancio. Mai come oggi questa fisionomia può essere alla moda, rinfrancata dall’interesse che stanno suscitando i così detti vini mediterranei, Francia meridionale e Spagna in testa, capaci di (ri)spostare il baricentro di critici ed enomaniaci un po’ più a sud.
Per quanto vale la prova empirica di uno scribacchino annebbiato dalla solforosa, seppur avallata da tanti confronti e pareri altri, la teoria delle annate calde è stata pienamente confermata. I bianchi orvietani 2015 si sono dimostrati all’altezza (certo, anche per via della maggiore consapevolezza di molti interpreti della denominazione) e la media dei vini è sembrata piuttosto alta.
Sensazioni simili, in passato, arrivarono dagli assaggi dei millesimi 2009 e 2011; guarda caso due vendemmie tutt’altro che rigide. D’Annunzio descrisse il vino di Orvieto come il “sole d’Italia in bottiglia”. Letta in questa maniera aveva senz’altro ragione.
Andamento climatico a parte e al netto delle imprescindibili eccezioni, i bianchi mediterranei mi convincono appieno quando mostrano con orgoglio tutto il loro sapore, senza vergognarsi della dinamica orizzontale e rivendicando un’innata vocazione gastronomica.
Vini più autunnali che estivi, spesso capaci di positive sorprese in bottiglia (acidità contenuta non significa per forza vita breve); meglio con la carne che con il pesce, fanno venire in mente animali da cortile e altrettante ricette della tradizione popolare. Con buona pace degli acidisti e di chi vede, sempre e soltanto, una sola via possibile.
foto: tusciaplanet.com