Anche i Veronelli sbagliano

Veronelli

Quando cerco conforto torno sui classici. Un pezzo di Brera sull’ultima visita a Torgiano, l’elogio della salama da sugo di Soldati, una rubrica di Veronelli scovata chissà dove.

Facile che mi perda in quelle narrazioni così distanti, incidentalmente legate ai cibi e ai vini ma capaci di svelare un mondo.
E’ frugando qua e là che ho riportato alla luce un articolo sul gamay del Trasimeno. Contrariamente a quanto dice il nome, questo vitigno non ha niente a che fare con la classica varietà del Beaujolais ma è bensì una specie di grenache. Bel problema per un’uva che alberga sui colli intorno al lago da tempo e che sul posto vorrebbero far propria.
Tant’è. Strategie moderne a parte, dal pezzullo che ho ritrovato emerge che anche il grande Gino cadde nell’equivoco, scambiando lucciole per lanterne. Succede anche ai migliori, dunque, figuriamoci a noi…
Grazie Miscio, hai salvato il “gamay”
Vignaiuolo, con la u, è una forma fuori d’ uso, vecchia. L’ ho usata, anni ed anni, come provocazione. Nei miei scritti, tesi a contestare i vini industriali, quelle reiterazioni (vignaiuolo, vignaiuoli) avevano uno strano risalto. Sino a che la mia battaglia a favore dei vini, che avevano puntuale corrispondenza con i luoghi di crescita delle uve, non è stata vinta – lo è – ho usato quella parola fuori d’ uso. La riutilizzo ora, per un vignaiuolo, Miscio Solismo (o Solismo Miscio? Lo conosco da sempre e non so, non ricordo, quale sia il nome e quale il cognome). Rudolf Schwarz, attento degustatore tedesco, mi porta la sua bottiglia, annata 1997, e mi dice testuale: «Veronelli, forse per l’ ultima volta un regalo per lei. Miscio ha più di settant’ anni e non ce la fa. La ringrazia». Questa bottiglia – rosso rubino intenso, dai sentori di viola e di spezie – potrebbe essere l’ultima della sua storia. Nobile da che fu tra i primi contadini a comprendere che quel vitigno – definito desolantissimo dagli esperti per l’ eccessiva capacità di fruttificare – bastava controllarlo, potare corto d’inverno e verde d’estate, «costringerlo» a produrre meno e meglio per avere un vino più che buono. Il gamay – è corretto scriverlo con la g minuscola, se ci si riferisce all’ uva o al vitigno; con la G maiuscola, per il vino – dà l’uva rossa per il Beaujolais, di cui si è atteso, con ansia del tutto ingiustificata, il Nouveau, il vino novello, prodotto nell’omonima regione francese, il Beaujolais, ov’ è anche detto «piccolo gamay, gamay rotondo, borgognone nero». Sue caratteristiche originarie: gli apici di forma piuttosto espansa, color bianco-verdastro con foglioline apicali e basali verdi-giallastre; acini medi o piccoli, color nero-scuro, mediamente pruinosi, buccia fine ma resistente e polpa succosa. In Italia è poco coltivato. Luoghi della sua miglior produzione: le colline di Charvensod, in Valle d’ Aosta, e di San Giovanni al Natisone, in Friuli, il circondario di Imola, in Emilia-Romagna, e le terre di Castiglione del Lago, sul Trasimeno (proprio qui il suo vertice, più preciso: in frazione Gioiella; e più preciso ancora nella vigna di Miscio Solismo). Se sei nei luoghi e ci vai, questo è il momento migliore per raccogliere nelle vigne abbandonate i racimoli, minimi grappoli dagli acini appassiti di singolare dolcezza. Ricordi l’autunno di Cesare Pavese? «Per le vigne nascoste negli anfratti di terra / l’acqua macera foglie e racimoli». Io spero che Miscio Solismo – ha la mia stessa età – decida di continuare, di bere altre sue bottiglie. Se no mi consolerò – non facile – con i Gamay prodotti, sotto la guida di maestri enologi attenti e appassionati, dai giovani allievi dell’ Istitut Agricole Regional di Aosta.
Luigi Veronelli
Corriere della Sera – 28 novembre 1999

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