Pillole di Wine Club #6 | Verticale Patrimo, Feudi di San Gregorio

collage di apertura

Dopo la breve pausa di gennaio, riprendono le serate del Tipicamente Wine Club – sezione Campania. E si riparte con la verticale del Patrimo di Feudi di San Gregorio, corazzata irpina a cui appartiene anche il ristorante Marennà, sede dei nostri incontri.

Nove annate per ragionare, come al solito bicchieri alla mano, su quella che è a tutti gli effetti una delle storie più controverse del vino campano, per molteplici ragioni. Innanzitutto perché è una delle rare etichette della regione realizzate con varietà internazionali (merlot, in questo caso), e proposte come “prodotto di punta” della gamma, perlomeno nel prezzo listino. In secondo luogo perché la sua parabola mediatica ha attraversato fasi per molti versi antitetiche, e quindi impegnative da restituire in maniera ordinata e lineare.

Non si comprendono a pieno le vicende del Patrimo se non inquadriamo il momento storico in cui è comparso sulla scena. Era il 2001 quando iniziarono a circolare le prime bottiglie della vendemmia 1999, quella di esordio: erano gli anni di massima attenzione per quelli che Alessandro Baricco descrive efficacemente come “vini evento” nel suo saggio I Barbari. Nuove ambiziose etichette che spuntavano un po’ dappertutto, non solo in Italia, per incarnare l’idea espressiva e stilistica allora dominante. Perlopiù tramite rossi opulenti e materici, preferibilmente da vitigni alloctoni e lavorati in rovere piccolo: il modello bordolese replicato su scala mondiale. O meglio, ibridato e spesso stravolto fino a farne caricatura.

Luigi Moio e Riccardo Cotarella, co-artefici dei principali
Luigi Moio e Riccardo Cotarella, co-artefici dei principali “Supercampani” nati negli anni ’90
Crediti foto: aisnapoli.it e statodonna.it

Anche il comparto regionale fu influenzato da questo processo, ma con modalità senz’altro peculiari. Fatta eccezione per il Montevetrano di Silvia Imparato, e poco altro, le aziende più significative della regione si affidarono alle varietà tradizionali per realizzare il proprio “supercampano”. Terra di Lavoro di Galardi, Serpico di Feudi di San Gregorio, Salae Domini di Caggiano, Naturalis Historia di Mastroberardino, Bue Apis di Cantina del Taburno, Naima e Zero di De Conciliis, Cenito di Maffini, giusto per ricordare gli esempi più celebri nati negli anni ‘90. A cui si affiancavano interpretazioni stilisticamente affini proposte attraverso le denominazioni classiche, dal Sannio-Taburno al Cilento, dal Massico (Falerno) a Taurasi.

Non c’è da meravigliarsi se il debutto del Patrimo suscitò fin da subito reazioni ambivalenti nel pubblico di critici ed appassionati. Quasi tutte le guide italiane dell’epoca lo premiarono, così come arrivarono immediatamente punteggi alti dai principali magazine internazionali e le prime bottiglie andarono esaurite in pochi mesi. Ma non mancarono voci dissonanti rispetto a questo apparente plebiscito, che sottolineavano fra le varie cose i rischi di omologazione per una zona fino ad allora impermeabile alla diffusione di varietà alloctone. Difficile continuare sulla stessa strada, provo a sintetizzare le istanze più critiche, se uno dei vini più costosi e ricercati d’Irpinia diventa un merlot spuntato quasi dal nulla.

patrimo '99 - retro

Ad ingarbugliare ulteriormente la faccenda si aggiunsero alcune questioni di carattere burocratico, portate all’attenzione per primo dal giornalista Franco Ziliani sul portale Winereport. Il Patrimo uscì sul mercato con la menzione Irpinia Rosso, nonostante il merlot non fosse ancora inserito tra i vitigni autorizzati per la provincia di Avellino. Secondo la normativa vigente avrebbe dovuto essere commercializzato con l’indicazione Vino da Tavola, e le discussioni sulla blogosfera andarono avanti anche dopo che Feudi di San Gregorio comunicò la propria posizione ufficiale. Secondo la quale, la vigna di provenienza del Patrimo era una vecchia parcella regolarmente registrata ed iscritta all’albo come Aglianico, che solo in corso d’opera si era rivelata una cultivar diversa, per i tempi di maturazione anticipati e per le caratteristiche organolettiche. Un’incongruenza sanata nelle vendemmie successive, con l’ampliamento delle varietà ammesse in Irpinia e la correzione dei registri viticoli.

Altro snodo fondamentale fu l’assegnazione del premio di Rosso dell’Anno al Patrimo 2000 dalla guida Vini di Gambero Rosso-Slow Food, di gran lunga la più diffusa ed influente in quel periodo. Le circa 8.000 bottiglie evaporarono in poche settimane e ci fu un vero e proprio accaparramento anche in funzione speculativa. Senza dubbio il punto più alto di un hype altrettanto rapidamente sfumato negli anni a seguire, coincisi oltretutto con la lunga fase di transizione tra il vecchio e il nuovo management della cantina di Sorbo Serpico. L'enoeditoria italica smise in pratica di occuparsene: rare recensioni, sporadiche presenze nelle annuali liste dei premiati, forte rallentamento nelle rotazioni tra carte ed enoteche. Trend pienamente compensato, tuttavia, dalla reputazione consolidata in mercati esteri strategici, Stati Uniti in testa. Che assorbono regolarmente la produzione del Patrimo, rimasta stabile da oltre un decennio, anche adesso che sembra non parlarne, e berne, più nessuno.

patrimo '00

Ritengo siano maturi i tempi per ragionare laicamente su vini di questo tipo. Chiedendosi che posto occupano oggi nei loro territori di origine, raccontandoli per quello che sono e non per quello che eventualmente hanno rappresentato e rappresentano in rapporto ad una certa idea di tradizione e sviluppo. E’ lo spirito con cui abbiamo approcciato la retrospettiva, rivelatasi molto stimolante sul terreno del confronto tra bevitori. Disposti a spendere cifre importanti per una bottiglia, intorno agli 80-100 euro in enoteca per il Patrimo, ma solo a determinate condizioni. Piano di analisi irrinunciabile per chi come noi ha a disposizione budget limitati, che dovrebbe tuttavia rimanere sempre ben separato dalle considerazioni di carattere strettamente valutativo ed estetico.

Da questo punto di vista, mi pare che i pregi e i limiti del rosso di punta di Feudi di San Gregorio (ripeto: listino alla mano) siano in buona parte coincidenti. Le migliori versioni disegnano un vino equilibrato e piacevole, meno “nuovo mondista” di come si possa immaginarlo, senz’altro apprezzabile da chi non cerca sferzate austere a tutti i costi. Resta comunque l’impressione di un’interpretazione del vitigno bordolese sostanzialmente “apolide”: eccezion fatta forse per il ’99, alla cieca non verrebbe mai da pensare ad un Pomerol di riferimento, o giù di lì. E va benissimo, ci mancherebbe, il punto è un altro. Non è così agevole nemmeno riconoscergli un peculiare carattere territoriale e stilistico: appare poco “irpino” e al tempo stesso piuttosto variabile nella confezione espressiva da una vendemmia all’altra. Una “via di mezzo”, brutalizzando, che lo rende a mio parere abbastanza intercambiabile con altre proposte reperibili, e spesso più abbordabili, in distretti maggiormente identificati per queste tipologie, Toscane e Triveneto in primis.

patrimo '99

Naturalmente c’è poi il fattore millesimo, che trova modo di far sentire la propria voce oltre le intenzioni tecniche ed aspettative organolettiche. Come dicevo è stato per certi versi come andare sulle montagne russe, tra exploit e delusioni, uscite felici ed altre decisamente più trascurabili. Con i più feroci detrattori del Patrimo mi piacerebbe ristappare il ’99: era una magnum, scolata e goduta all’unisono per il tocco rilassato, ma non piallato o addomesticato. Con un che di “rive droite” nei richiami resinosi e piccanti, ulteriormente vivacizzati da una scia agrumata dritta e saporita.

Un gradino sotto, ma perfino più sorprendente considerando le premesse, il 2003: generoso più che accaldato o disidratato, ricco di suggestioni mediterranee, insospettabilmente misurato nella progressione gustativa, con tannino di grana soffice e precisa.

Non ci sono dispiaciuti, seppur per motivi diversi, il 2000, il 2005 e il 2006, maggiormente segnati dagli apporti estrattivi e tostati, ma in qualche modo capaci di conservare una coerenza interna tra maturità del frutto e scorrevolezza del sorso. Lo stesso 2002, uno dei più pirazinici e “sottili”, evidenzia un suo fascino crepuscolare, che gli vale il posto tra i Patrimo tutto sommato convincenti della batteria.

Motivi di interesse che vengono del tutto a mancare, a mio avviso, nel 2001, 2004 e 2007: al netto di bottiglie sottoperformanti, sono apparsi troppo evoluti nel corredo aromatico, al limite dell’ossidativo, eccessivamente asciugati nell’incedere gustativo, faticosi nella beva.

Ha meno senso del solito, in definitiva, riportare ogni conclusione a meccanismi binari, del tipo buono/cattivo, promosso/bocciato, sì/no. Da compratore costretto a delle scelte dico solo che continuerò ad orientarmi senza grossi rimpianti su letture più classiche del vitigno bordolese. Approfittando di appuntamenti collettivi (con relative divisioni dei costi) per nuove verifiche, specie per quel che riguarda le annate più recenti, assaggiate episodicamente soltanto nei tasting editoriali. Resto altresì convinto che le proposte più interessanti della cantina di Sorbo Serpico siano da tempo altre. La rimodulazione stilistica sui bianchi appare felicemente compiuta, dai rossi è legittimo attendersi un ulteriore quid di finezza e carattere, ma i vini da Aglianico (a partire dal Rubrato) raccontano sempre meglio il rinnovato lavoro agronomico e tecnico immaginato da Pierpaolo Sirch e la sua squadra.

07-22febbraio

Tipicamente Wine Club – Prossimo appuntamento

Il prossimo appuntamento del Tipicamente Wine Club è fissato per Lunedì 22 Febbraio, con la verticale del Fontalloro di Fèlsina (Annate 2007, 2004, 2001, 1999, 1995, 1990, 1988).
Qui il calendario completo delle degustazioni: link.

Pillole di Wine Club #1 | Orizzontale Greco di Tufo 2003-2004
Pillole di Wine Club #2 | Orizzontale Fiano di Avellino 2002-2003
Pillole di Wine Club #3 | Orizzontale Taurasi 2000-2001
Pillole di Wine Club #4 | Doppia Verticale Caracci e Pietraincatenata
Pillole di Wine Club #5 | Verticale Barolo Vignarionda Massolino

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