Gli Hateful Eight del Vino italiano #1

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Lo confesso, vostro onore: sono un estremista tarantiniano, nel senso di Quentin.

Tranquilli: non sto iniziando un pippone dei miei sul regista di Knoxville, Tennesse. Non è questione di storie, dialoghi, inquadrature, citazioni, metalinguaggi e compagnia cantando. Dico semplicemente che i suoi film sono quanto di più vicino all’idea di cinema che ho in testa. Divertimento fanciullesco ed esperienza visivamente appagante, prima di tutto.
Ecco perché non potevo lasciar cadere la provocazione lanciata dal Webmagazine L’Ultimo Uomo in concomitanza con l’uscita italiana di The Hateful Eight (recensioni senza spoiler consigliate qui, qui e quiottava pellicola firmata da Tarantino (e già sulle implicazioni cabalistiche del numero 8, centrale fin dal titolo, potremmo chiacchierare otto ore, ma ho fatto una promessa e la mantengo, niente divagazioni). Due post, per il momento, dedicati agli hateful eight del Basket Nba (link) e della Serie A (link): gli otto (aridaje) giocatori più odiosi ed odiati secondo alcuni (indovinate quanti?) autori della redazione.
Noi che una redazione non ce la possiamo permettere, abbiamo chiesto a quattro+quattro amici-colleghi-appassionati-bevitori di raccontarci i loro hateful wines, nella duplice accezione suggerita dal Collins: detestante e detestato. Sì, perché lo sappiamo che la ciucca non prende tutti allo stesso modo. C’è chi dopo la sesta bottiglia si sente Bob Marley- peace and love con l’universo e chi si trasforma in hooligan. Perché ricorriamo spesso al termine winelovers per riferirci al nostro circolo di alcolizzati, ma la verità è che in mezzo a noi ci sono anche tanti haters. Come una rockstar, un atleta, un artista, una bottiglia è in grado di suscitare emozioni estreme nel pubblico, in un senso o nell’altro. Compreso quel fastidio viscerale, il più delle volte istintivo e irrazionale, che senti montare sottopelle ogni volta che qualcuno celebra la tua cryptonite. E poco importa se non sei Superman. Quell’antipatia più forte di ogni lucidità analitica. Il puffo brontolone che è in noi e reclama i suoi diritti.
Se non avessi la certezza di essere frainteso, direi che è perfettamente normale – e perfino necessario – “odiare” certi vini. Non fosse altro per la sensazione di essere a volte noi, quelli “odiati” da loro. Magari perché ci deludono in rapporto alle aspettative, perché li troviamo sovra prezzati, perché le bottiglie “sottoperformanti” sembrano toccare tutte a noi, e mille altri perché ancora. Il gioco è questo, imbarazzo preventivo per chi lo prenderà seriamente. [pdc]
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Brunello di Montalcino, Gianfranco Soldera. O dell’inestricabile conflitto interiore tra il sogno di empatia e le ragioni del me ne frego
di Pietro Lupo *
Se c’è una cosa che ho imparato nella mia trentennale carriera da allibratore, è che una scommessa sicura al 100% non esiste. Per questo scelgo di stare dalla parte del banco: io non punto, raccolgo illusioni sotto forma di carta moneta. E ne raccatto tante, per fortuna. Perché è legge di natura, e vale in entrambe le direzioni: non c’è scommessa che puoi garantirti di non perdere. Prima o poi accade che la Marchigiana batte il Barcellona. E i soldi glieli devi dare fino all’ultimo cent, al tizio che si è giocato anche quel poco che ha, su un Messi oscurato da Margheritoni.
Ecco perché “detesto” il Brunello di Gianfranco Soldera. Mi toglie una delle pochissime certezze che ho. E cioè, che dietro una grande impresa o un grande prodotto deve esserci per forza un essere umano con cui saresti in piena sintonia. Invece no. Assaggi Case Basse ’83 e ’90 e sei costretto ad ammettere che qualcosa di spettacolare può arrivare anche da chi fondamentalmente se ne frega di piacere a chiunque.
Un vero e proprio dilemma esistenziale, magistralmente esplorato da Amleto De Silva nel suo Stronzology (link). Saggio sociale e manuale di sopravvivenza al tempo stesso, il testo scava a fondo nell’animo umano e nella sua esigenza di esprimersi senza dover per forza mettere tutti d’accordo. Ciascuno col suo profilo: c’è il mio e c’è il vostro, non raccontiamocela, che nessuno può chiamarsi fuori. E c’è quello dedicato al maschio alfa che sembra rivendicare orgogliosamente, come scelta militante, questo tipo di interazione col prossimo. Chissà se il vignaiolo trevigiano-montalcinese si riconoscerebbe in quel paragrafo. Di certo non sembra inseguire facili consensi quando:
– rimanda al mittente l’offerta di aiuto del Consorzio, dopo che un suo ex operaio è penetrato nottetempo in cantina e gli ha svuotato per sfregio nei tombini quasi tutto il Brunello in affinamento. «Volevano donarmi vino: avrei dovuto imbottigliarlo come mio, non sapendo da dove venisse. La proposta era irricevibile e offensiva, una truffa al consumatore. Finanziate gli studi a Montalcino, ho chiesto. Ma non se n’è fatto nulla». Strano che dopo le dichiarazioni rilasciate al Corriere (link), il Consiglio abbia deciso di espellerlo dal Consorzio e querelarlo (link);
– imbottiglia due diverse versioni del proprio Brunello Riserva, provenienti da due parcelle storiche distinte e separate (Case Basse ed Intistieti), e opta per farle uscire con la stessa etichetta. Pensando forse che non sia così importante per un acquirente sapere qual è l’uno e qual è l’altro, tanto sono comunque buoni e i veri capiscitori sono pochi. Qualcuno giura di saper risalire alla vigna dal numero di lotto (link), ma nemmeno il MIT di Boston è ancora riuscito a scovare l’algoritmo di decodifica;
– ti riceve in cantina, ti fa assaggiare dalle botti e ti mostra immediatamente l’uscita se provi a sputare. Problemi tuoi, se non puoi bere per ragioni di salute o di codice stradale;
– ti fulmina con un istantaneo «ovviamente il mio», se gli chiedi qual è il suo Brunello preferito;
– taglia corto con un gelido «impossibile» se gli dici che hai beccato una sua bottiglia problematica;
E tanti altri aneddoti, più o meno verosimili. Ma il fatto è quello: se un amico ti racconta che Gianfranco Soldera ha parlato bene di qualcuno per l’ultima volta quando c’era ancora la tv in bianco e nero, tu fondamentalmente ci credi. E ti domandi come abbia fatto uno così in guerra col mondo a plasmare – non episodicamente – liquidi tanto sereni, empatici, rilassati. La testa ti consiglierebbe di destinare i tuoi pochi spiccioli ad altri vignaioli con cui avverti maggiori affinità. E invece ti ritrovi tuo malgrado a cercarlo e desiderarlo in ogni carta, listino, asta.
L’allibratore è diventato lui, e non te ne sei nemmeno accorto. Sei tu che piazzi una scommessa da 200 e più euri, sperando di pescare la bottiglia magica. E spesso la becchi. Ma c’è anche quella volta che deve piacerti flirtare con la volatile. E ti senti cornuto e mazziato. Anche perché poi non cambia niente: la volta successiva lo cercherai ancora e ancora. Farai esattamente la stessa puntata. Come i giocatori incalliti. Ecco perché “odio” il Brunello di Gianfranco Soldera: vorrei che non mi piacesse, eppure non riesco a farne a meno. Mi trasforma, insomma, nel mio “cliente” ideale.
* Presidente-fondatore dell’Agenzia di Scommesse Manbet, grande appassionato di vino e collezionista, proprietario della più grande cantina privata formata da bottiglie provenienti da recupero crediti
(continua)

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