
E’ tradizionalmente un numero “forte”, quello prenatalizio, per il mensile La Revue du Vin de France, la più importante e longeva rivista enoica d’Oltralpe, edita dal Groupe Marie-Claire *.
L’uscita di Novembre 2015 (n° 596) non fa eccezione: un timone denso di notizie, inchieste ed approfondimenti, con tanti spunti di grande interesse, anche e soprattutto alla luce dei recenti fatti di cronaca. In particolare i due articoli di apertura colpiscono per l’incredibile attualità delle riflessioni, a maggior ragione sapendo che sono stati scritti alcune settimane prima degli attentati che hanno funestato Parigi (e l’Europa tutta, con ricadute immediate sugli interventi militari in Medio-Oriente).
Ecco perché vi propongo a seguire la mia traduzione dell’Editoriale di Denis Saverot, intitolato “Le Vin au coeur du débat”. Spero poi di avere tempo e modo per tirar fuori una versione in italiano per la successiva lunga intervista a Michel Onfray, professore di filosofia e fondatore dell’Università Popolare di Caen, scrittore ed autore di numerosi saggi, pensatore urticante della galassi culturale transalpina.
Il Vino nel cuore del dibattito – Editoriale di Denis Saverot
Non ci si aspettava di incontrarlo proprio su quel terreno. Su YouTube, Jean-Luc Mélanchon, capofila della sinistra radicale e cantore della divisione delle ricchezze, ha caricato un video speciale per parlare del vino e difendere con vigore le Denominazioni di Origine (le AOC) «minacciate dal capitalismo e dalla finanza» e ricordare, visitando i Cooperatori del Languedoc, che il vino «ha accompagnato i primi passi del movimento socialista».
La professione di fede di Mélanchon non è che l’ultimo avatar di un movimento più profondo. Dopo due decenni di messa all’indice, il vino è entrato nel dibattito pubblico. Già nell’ultima campagna presidenziale, François Hollande e Nicolas Sarkozy si erano affacciati tra le vigne. E al termine di una trasferta a Chablis, Marine Le Pen aveva fatto sorridere – o digrignare i denti, è uguale – dichiarando a La Revue du Vin de France: «preferisco i bianchi!».
Un anno fa, Laurent Fabius, ministro degli Affari Esteri, ha capovolto l’approccio diplomatico tradizionale del Quai d’Orsay (sede del ministero, ndt), erigendo il vino e la gastronomia a rango di priorità economica. Ed ecco il turno di Michel Onfray. Questo professore di filosofia ha il merito di ravvivare la discussione. Nella lunga intervista che ci ha concesso, questo ateo selvatico, denunciatore instancabile «delle favole monoteiste», non esita a fare questa dichiarazione sorprendente: «Finché la Francia resterà giudo-cristiana, il vino sarà libero».
Ma che succede? Dopo tanti anni marchiati dal rigetto del “vinello” popolare, la legge Evin votata dall’Assemblea Nazionale per lottare contro l’alcolismo, dopo il rimpiazzo metodico nei nostri villaggi dei bistrot a favore delle farmacie, dopo le centinaia di milioni di euro pubblici elargiti ad organismi sanitari anti-vino (Anpaa, Mildt, OFDT, Inpes, INCa…), ecco che il vino, la sua economia, la sua cultura, sono di nuovo sentiti come un tema nobile.
Si comprende bene il perché, lo illustra la stessa posizione di Laurent Fabius: «con circa dieci miliardi di euro per la bilancia commerciale francese, il vino e i distillati sono un motore della nostra economia». Ma gli altri? Tutto sembra svolgersi come se il vino avesse ritrovato la sua funzione simbolica. Che è notevole, in effetti. Mélenchon ha ragione, il vino popolare fu una conquista rivoluzionaria, allo stesso titolo del diritto di cacciare. Ha accompagnato la Rivoluzione Francese, i Comunardi del 1870 e la guerra del ’14-’18, quando venivano serviti ai soldati dei quartini di rosso al momento di uscire dalle trincee. Come non notare, d’altra parte, che la diminuzione del consumo di vino in Francia (100 litri procapite all’anno nel 1960, meno di 50 oggi) ha meccanicamente, fedelmente, accompagnato il declino del Partito Comunista Francese?
Il vino è ancora l’immagine della convivialità francese, questa gioia di vivere che sembra venire a mancarci oggi. Come la libertà di satira nella stampa, è uno dei marcatori dell’identità francese ed è questo che i politici riscoprono da un po’. Perché il vino è tutto meno che un prodotto neutro. Andate su e giù per le vigne di Saumur o di Kayserberg in Alsazia, per le colline di Madiran, le coste di Saint-Emilion o Vosne-Romanée. Cosa vedete, attorno alle vigne? Croci. Dozzine, centinaia di croci di pietra presidiano le vigne di Francia, ancora oggi tenute con cura. Nello sviluppo viticolo della nazione c’è una chiara matrice cristiana.
Eredità cristiana e conquista popolare al contempo, il vino resta dunque alle radici stesse della nostra civilizzazione. Quella della sottigliezza dei sapori, del rispetto della terra, ma anche di un certo gusto della libertà. E’ la nostra cultura e, in un mondo dilaniato dall’omologazione generale, i ripiegamenti comunitari e la crescita dei divieti, rappresenta una parte importante del nostro futuro.