Il Cancelliere, Taurasi Nero Né 2005: anche i pesi massimi sanno fluire

Il Cancelliere - Nero Né '05
Se i miei amici di bevute rappresentassero un campione statisticamente significativo sul piano economico-commerciale, sarebbe facile concludere che l’Aglianico non se la passa granché bene (per usare un eufemismo).
Parlo di una sessantina di assaggiatori-appassionati-operatori, sparsi per tutto lo stivale, con i quali ci confrontiamo quotidianamente su tutta una serie di argomenti (il vino è il secondo in ordine di importanza, ça va sans dire…), condividendo impressioni sulle bottiglie stappate. Tra tutti loro, negli ultimi due anni non si arriva alle venti unità di Taurasi, Taburno, Vulture e affini trangugiati, a fronte di svariate centinaia di Barolo, Barbaresco, Montalcino, Chianti Classico. Non perché siano tutti degli Abramovic, intendiamoci: il fatto è che, semplicemente, i rossi da Aglianico che assaggiano nove volte su dieci non gli piacciono, con poche e ben circoscritte eccezioni.
Tranquilli: il formato wine tweet mi vieta di entrare nel dettaglio delle motivazioni, e in ogni caso non demordo, continuando a cercare opzioni che possano almeno in parte fargli cambiare idea. Ecco perché alla prima occasione di gruppo gli sottoporrò il Taurasi Nero Né 2005 de Il Cancelliere, facendo tesoro delle indicazioni ricavate dall’ultimo riassaggio.
Il Cancelliere - Nero Né '05 (retro)
Consiglierò una stappatura a dir poco anticipata, di modo che l’ossigeno possa gradualmente rifinire il prepotente impatto riduttivo, viscerale ed ematico, armonizzandolo tra le timbriche silvestri e terrose, affumicate e speziate. Gli parlerò del frutto scuro quasi sempre presente negli Aglianico del versante nobile di Montemarano, tra le contrade Chianzano e Iampenne, dove si collocano anche le vigne della famiglia Romano-Pizza e dove nascono i Taurasi più indomiti ed austeri. Coloriture di mora, ciliegia nera e prugna, che sembrano dire maturità, caldo, sud e si rivelano un indizio espressivo tutto irpino dell’esposizione nord, le altitudini che sfiorano quota 600 metri, il microclima continentale dell’Alta Valle del Calore.
Ma soprattutto gli chiederò di godersi la spensieratezza del sorso, quasi insospettabile per un vino di tale massa glicerico-fenolica: è Taurasi che si beve con facilità, non il solito monolite da degustazione, perché il sapore c’è dall’inizio alla fine, perfino nella prorompente armatura tannica.
Farò un po’ più fatica a “giustificare” le velature degli ultimi bicchieri, dovute all’abbondante fondo: i rossi non filtrati e chiarificati ci piacciono, sia ben chiaro, ma all’aglianico si chiede – giustamente – di attraversare tanti anni in bottiglia e per noi alcolizzati non è bello dover rinunciare anche solo ad un singolo goccio quando poi arriva il momento di rendergli onore.

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