
Toglietemi tutto (non c’è bisogno della mia autorizzazione, lo so benissimo), ma non il piacere di girare per le campagne in tempo di vendemmia.
In genere mi vengono i conati di vomito quando leggo post diabetico-bucolici sulla bellezza del contatto con la natura e sulle emozioni che si provano calpestando la terra, prima di tutto perché di contadini abbagliati da visioni mistiche mentre danno il ramato non ne ho ancora conosciuti. E però c’è realmente una rigenerazione di questo tipo quando ti concedi qualche giorno lontano dalla scrivania e dal chiacchiericcio virtuale: guardare l’uva da vicino, assaggiarla prima e dopo che sia diventata mosto, è come godersi una partita allo stadio, che è cosa molto diversa da fruirla in tv.
Sappiamo fin troppo bene che il vino segue talvolta traiettorie del tutto imprevedibili, a partire dal fatto che una grande materia prima non è destinata necessariamente a diventare bottiglia indimenticabile, e viceversa. Ma se riconosciamo un valore alle esplorazioni sul campo, ci si può tranquillamente lanciare in previsioni ottimistiche per buona parte dei bianchi campani targati 2015.
Bianchi 2015 da tenere d’occhio
Naturalmente ho avuto modo di seguire meglio l’andamento dell’annata in Irpinia, dove la raccolta di fiano e greco è praticamente terminata nella prima decade di ottobre. Con anticipi di oltre due settimane in alcune zone, rispetto alla media, specialmente in quelle interessate a macchia di leopardo dalle violente grandinate di inizio settembre, a loro volta precedute da qualche episodio simile – ma fortunatamente meno intenso – negli ultimi giorni di luglio. Proprio la grandine si è rivelata in ultima analisi l’unico “vero” problema da gestire in vigna durante questa torrida stagione, lungamente ritmata dall’anticiclone di matrice africana *.
Condizioni “estreme” sulla carta, ma ovviamente meno condizionanti in un’area fresca e frastagliata come la provincia di Avellino, caratterizzata da significative escursioni termiche anche in annate di questo tipo. Le vigne più calde ed esposte hanno certamente sofferto, ma durante la ricognizione ho visto tanta uva bella, tonica, integra, raramente surmatura, imbrunita o disidratata. Qualche preoccupazione in più la registro dai produttori in merito ai primi dati analitici, che parlano – come è normale che sia – di acidità sensibilmente più contenute del solito, specialmente sul fiano. Eppure assaggiando i mosti si ricava una sensazione piuttosto diversa: o meglio, ci si accorge di uno scheletro verticale meno appuntito – soprattutto se pensiamo ai due millesimi precedenti – ma si avverte anche un’impalcatura sapido-materica estremamente solida e a tratti entusiasmante. Ricordo impressioni simili su alcuni fiano e greco appena spremuti nel 2003 e 2012, ma perfino con un plus di densità e nettezza aromatica: cantine così profumate in Irpinia non ne sentivo da un pezzo.
Solo nei prossimi mesi vedremo se e come l’imprinting iniziale sarà confermato o stravolto, ma mi pare che la vendemmia 2015 parta come detto sotto ottimi auspici – quantità a parte – per i più talentuosi interpreti bianchisti del distretto. Tra questi ci sono senza dubbio la famiglia Fabrizio-Zarrella di Rocca del Principe a Lapio e i Picariello a Summonte. Personaggi a dir poco familiari per i fianisti più esigenti, che mi sono trovato a stalkerare proprio nei giorni lavorativamente più impegnativi, ottenendone incredibilmente non un bel calcio nel sedere, ma qualche appetitoso assaggio in anteprima.
2014, Annata eterogenea e complicata
Riprendo confidenza con i loro Fiano 2014, imbottigliati da qualche settimana ma non ancora ufficialmente in commercio. Una scelta, quella di proporre i propri bianchi più importanti ad almeno un anno dalla vendemmia, che Rocca del Principe e Ciro Picariello hanno sposato in tempi decisamente non sospetti. Con effetti senza dubbio virtuosi sulla leggibilità e l’apprezzamento di vini indiscutibilmente dal passo lento, giocati su verticalità pronunciate e bisognosi di pazienza prima di incontrarli all’apice di espressività ed equilibrio.
Una strada stilistica a ben vedere non così scontata in annate “matte”, come va per molti versi considerata la 2014 in Campania. Ci aspettavamo tutti un millesimo eterogeneo dopo i capricci meteo della scorsa estate, ma sinceramente non pensavo di trovarmi di fronte ad un range di riuscite così ampio. Tra i Fiano e i Greco 2014 si può pescare tutto e il contrario di tutto, il vino squilibrato per eccessiva durezza e quello già stanco e mollaccione, quello insipido e slavato accanto a quello denso e concentrato. In linea di massima, comunque, mi sembra un millesimo trascurabile per la maggior parte dei bianchi irpini, da cui non mi attendo – oltretutto – chissà quale parabola evolutiva.
Salvo eccezioni, come sempre, perché qualche riuscita all’altezza della rispettiva 2013, se non superiore, a mio avviso c’è. Purtroppo sono perlopiù i soliti noti, con somma frustrazione di chi cerca la novità a tutti i costi: tra i Greco di Tufo mi metto in cantina Pietracupa, Vadiaperti (ma per me meglio il “base” del Tornante), Cantine dell’Angelo (sia il Miniere che il Torrefavale, almeno sulla base dei magnifici assaggi da vasca) e il Vigna Cicogna di Benito Ferrara, sui livelli della versione precedente ma per me lontano dagli strepitosi 2008, 2010 e 2012.
Per quanto riguarda i Fiano di Avellino, qualche spazio tra gli scaffali lo trovo per i 2014 nuovamente di Pietracupa, quello di Petilia, l’Aipierti di Vadiaperti, il Pietramara Etichetta Nera de I Favati, e un po’ mi dispiace di dover rinunciare ad altri buoni-ottimi vini come i Fiano di Vigne Guadagno, Tenuta Sarno, Colli di Lapio, Tenuta Ponte.
Mi pare infatti che meritino di essere seguiti con attenzione anche i 2014 testati da Rocca del Principe e Ciro Picariello. Per la piccola realtà di Lapio c’è addirittura il debutto di una nuova etichetta, un cru proveniente dalla parcella più vecchia di Tognano, storica contrada del versante nord, sullo stesso costone del celebre Arianiello. Una sorta di “riserva”, che verrà commercializzata presumibilmente dalla primavera 2017, dopo un lungo affinamento sur lie in acciaio (circa 12 mesi) e, soprattutto, in bottiglia. Non serve precisare che si tratta di impressioni poco più che embrionali, dunque, ma la stoffa citrina e sapida sembra quella giusta e il naso potrebbe nel frattempo armonizzare gli sbuffi perosi e torbati che al momento velano i consueti aromi agrumati e officinali più “Lapio style”.
Una trama abbastanza simile, secondo me, a quella con cui si svela il 2014 “base” di Picariello. Dico base, perché anche in questa annata uscirà il cru di Summonte in purezza battezzato “Ciro 906”, proposto per la prima volta con la vendemmia 2012 (il 2015 invece non ci sarà per la raccolta quantitativamente più scarsa, causata dalla grandinata di settembre). Nespola, nocciola verde, clorofilla: sono coloriture “bianco-verdi” ad annunciare un bianco ancora piuttosto timido, ma già convincente per la continuità saporosa e reattiva del sorso, senza eccessi di crudezza o chiusure amarostiche.
* nei giorni successivi alla scrittura del post le condizioni meteo sono purtroppo peggiorate e nella notte del 16 ottobre alcune zone della Campania (Sannio in primis) sono state colpite da veri e propri nubifragi, con esondazioni, allagamenti, enormi danni e addirittura vittime. Alle comunità e ai viticoltori più sfortunati il nostro più grande in bocca al lupo per un pronto ripristino della normale situazione e per il completamento di una vendemmia che ci auguriamo non del tutto pregiudicata per quanto riguarda le varietà a bacca rossa.