Che volete che sia. Per uno abituato ad assaggiare un centinaio di vini rossi al giorno in piena estate, l’idea di un piatto tipicamente invernale in un autunno bollente non è poi così assurda. Forse.
Sia come sia, grazie alla complicità di un numero imprecisato di enogastromasochisti e la squisita accoglienza di Filippo Artioli, a saracinesca semi-abbassata nella sua Trattoria di Oscar (Bevagna), la rappresentazione della salama da sugo è andata in scena. Come e più che da copione.
Fuori dalle sue abituali coordinate spazio – temporali, questa assurda e irresistibile diavoleria ferrarese è diventata, da qualche anno, una specie di pretesto per darsi appuntamento, trovando senso in una comunione che libera energia e annega le verità in fiumi di vino.
Uno spirito magnifico e puro, per come la vedo io. Un carnevale dove i ruoli si ribaltano e si confondono, fino ad annullarsi, e dove corpo e mente faticano a trovare il bandolo della matassa, prigionieri di sentieri nebbiosi che lasciano in bocca il sapore intenso del sale e delle spezie.
L’atmosfera onirica dell’ultimo incontro è stata accompagnata da due signorine in qualche modo agée, tanto per concentrare ancora di più la sapidità di una roba che già di suo ne ha da vendere.
La prima, quella di Claudio Rizzi da Portomaggiore, è stata affinata per un anno a casa sua e per uno a Bevagna. Distinta da una nota aromatica vinosa, di umori di cantina e fermentazioni, aveva una speziatura dolce-sapida di grande equilibrio, capace di mettere in bella mostra un valzer di chiodi di garofano e cannella.
Più salmastra, invece, la salamina di Alberto Piva da Gaibana, sempre con due anni di affinamento sul groppone. Meno note dolci e speziate, più densità terragna, rimandi animali e viscerali.
Troppi i vini che hanno fatto la corte alle due ragazze per mettersi qui a ricordarli tutti, anche se due o tre meriterebbero uno scritto a parte.
Vi lascio con il racconto di Filippo (ferrarese DOC, ovviamente) sulla preparazione delle principesse e ringrazio Mauretto (citato nel video) per i tartufi bianchi che hanno permesso di impreziosire il purè di accompagnamento. Il cui candore, per inciso, a me è sembrato somigliare ad una specie di vestito di nozze.