Pare ci fosse un tempo in cui il vino “tirava”, i critici erano gente figa e venerata, le bottiglie si vendevano e si stappavano allegramente e, udite udite, la domanda era addirittura superiore all’offerta. Pare.
Ovviamente il sottoscritto, col suo solito tempismo, è arrivato al momento sbagliato. A Firenze direbbero “dopo i fochi”, inesorabilmente tardi, giusto giusto per vedere il burrone in cui il settore stava precipitando.
Pazienza, non è per associarmi all’insopportabile e dilagante piagnucolio che ho intrapreso il ragionamento. Volevo semmai parlare di mercato del vino, del circo barnum che lo compone, dei mille interpreti di una rappresentazione complessa e sempre più complicata. Produttori, responsabili commerciali, sales manager, rappresentanti, grossisti, distributori, venditori a tutti i livelli.
Un mare magnum in cui nuotano i più svariati personaggi, professionisti ineccepibili e improbabili figuri; proliferati nel tempo, in certi casi trasformati, resi ibridi da una modernità che tutti facciamo fatica a capire, “aumentata” da una comunicazione totale e irreversibilmente social.
Molti cambiamenti, dunque, dal periodo delle vacche grasse che ha (letteralmente) tirato dentro il mondo del vino un sacco di gente che non ne faceva parte. Che magari vendeva altro o si occupava di generi completamente diversi. Con un inevitabile difetto di competenza, piuttosto generalizzato, e qualche confortante mosca bianca.
Oggi la crescita delle professionalità individuali è un dato di fatto, così come la definizione di “portafogli prodotti” sempre più originali, personali e convincenti, che magari mettono alla base riflessioni profonde, idee e filosofie produttive ben precise. Non solo griffe o aziendone tutto marketing e distintivo, insomma, né nomi messi uno accanto all’altro senza un’apparente motivazione logica.
Oramai in Italia si trovano distribuzioni davvero interessanti e gli scribacchini di questo sito ne sanno qualcosa, essendo soliti mortificare le già esangui risorse monetarie all’altare delle varie Heres*, Teatro del Vino*, Velier*, Caves de Pyrene*, ecc…
Bene, tra gli ultimi cataloghi con cui sono entrato in contatto, non solo “sulla carta”, segnalo agli appassionati quello della bresciana Mineral* che alberga, uno dietro l’atro, svariati nomi che da queste parti fanno partire la salivazione peggio che una fetta di limone acerbo.
A memoria, giusto per capirci, si va da Gumphof a Vigneti Cantalupo, da Cascina Corte a Il Rio, da Monteraponi a Stefano Amerighi, da Roccapesta ad un lotto di francesi intriganti, di tutto rispetto e chiara identità.
Tra questi ultimi, pesco due bicchieri divertentissimi e allo stesso tempo seri, dal prezzo umano e meritevoli di nuovi appuntamenti. Parlo del Beaune Rouge Clos de Mariages 2011 di Jean Claude Rateau, vigneron vicino alla biodinamica dalla fine degli anni Settanta, dunque, credo, tra i primi della zona a imboccare questa strada.
Il vino in questione proviene da una zona centrale della collina di Beaune, non lontano dal limite della città (ai piedi della fascia dei Premier Cru) e mostra golose, oltre che tipiche, sensazioni di ciliegia di maggio, con speziatura delicatissima. Un vino scarno fin dal colore, ossuto, duro e quasi crudo nel finale, ma incredibilmente denso di sapore. Un Beaune che sarà a dir poco eccitante stappare tra diversi anni, quando la bottiglia avrà fatto il suo lavoro. E che varrà molto di più di quanto costa ora.
Parlo anche del Morgon 2010 di Roland Pignard, tanto per non spostarsi geograficamente di tanto. Ovviamente più scuro, cupo e speziato, ha la tipica fruttuosità primaria della denominazione, con bellissimi richiami vinosi, ma allo stesso tempo anche un quid di complessità in più, sintetizzabile in una delicata ma pervasiva nota ferrosa, in un cenno balsamico che sconfina nel ribes nero e in un bellissimo sottofondo di catrame (se vi fa impressione dite pure goudron). La bocca ha buona densità senza rinunciare a scatto, leggerezza e allungo. Chiude su nuance di corteccia che completano un sorso di impressionante facilità.