Il fenomeno “Birra Artigianale” è ormai definitivamente sdoganato come prodotto della (attuale) cultura gastronomica del nostro paese.
il microbirrificio e le sue produzioni sono realtà sempre più acclarate e ricercate nel circuito degli addetti ai lavori. E non solo di quelli. Alla carta dei vini fa eco sempre più spesso una carta delle birre.
Del resto produrre birra è impresa relativamente semplice: le materie prime sono praticamente disponibili tutto l’anno, con possibilità di scelta tra le innumerevoli varietà e provenienze esistenti. Tutto in funzione dello stile o della tipologia di prodotto finale che si intende ottenere. Tutt’altro paio di maniche è invece produrre un’ottima birra! Tanto studio e tanta ricerca, per lo più guardando all’estero, sono solo la base di partenza: l’empatia fra birraio, impianto e materie prime è basilare.
Pier Paolo Pratesi e Fabrizio Testa, in arte Frank & Serafìco*, forti della loro estrazione enoica, hanno provato a gettare un ponte per coniugare i due mondi, quello brassicolo e quello enoico, facendo leva sul concetto di terroir. Ecco che così nasce la loro birra agricola, in cui le materie prime insistono appunto nel territorio di produzione.
Attualmente si usano orzi provenienti da coltivazioni di proprietà, sono in fase di selezione invece i luppoli, che sul terreno della Maremma sembrano dare incoraggianti risultati nelle varietà inglesi, soprattutto Cascade, Fuggle e Golding.
Quello delle Birre Agricole sarà un terreno sicuramente molto battuto in futuro: al momento sono poco più di una ventina i birrifici che fanno capo al Consorzio Italiano Produttori di Orzo e Birra, piccola associazione che dispone anche di una piccola maltificio. I risultati sono tutti da scoprire.
Nascono così le Enki Ale Blonde Agricola ed Enki Ale Brown Agricola: la prima, una Blone Ale che strizza l’occhio allo stile belga, la seconda una Scotch Ale dal corpo robusto, ben caratterizzata.
Quando la selezione dei luppoli verrà ultimata si punterà ad una IPA in perfetto stile inglesi, ma dai caratteri nostrani.
Territorio quindi, variabili pedoclimatiche, incidenza stagionale: questi gli elementi che genereranno un prodotto con più carattere e meno “manico”.
Ma come sono, ora, questi embrioni di birre agricole? La Blonde Ale è una birra dall’approccio immediato, fresca, beverina, lineare ma non esile, accattivante nella facilità di beva ma non piaciona, incentrata su note agrumate e di cereali, frutta secca e tiglio, appena segnata dalla componente aromatica ed amaricante del luppolo.
Una birra estiva, a tratti femminile, molto abbinabile, da gustare nei pomeriggi canicolari. Una giusta percezione di acidità e freschezza sostiene e bilancia l’attacco dolciastro; le bottiglie finiscono senza accorgersene.
La Brown Ale è sicuramente più impegnativa. Anche qui di primo acchito l’attacco pare dolciastro, ma rapidamente prende possesso del palato con sfumature più scure di torrefazione, posa di caffè, biscotto al malto tostato, note fumè, liquirizia e chiodi di garofano.
Il palato è pieno ed appagato, l’impatto aromatico del luppolo più presente ma non invasivo, la carbonatazione incisiva ma non graffiante, la frustata amarognola finale di grande pulizia. Si azzarda un abbinamento di territorio con carni rosse alla brace, ma personalmente la spenderei sul locale calzoncello.
La curiosità è stimolata, il palato non aspetta altro che incontarre la prossima IPA 100% Agricola. I bicchieri sono pronti…