
Forse la meritocrazia non è affare di questo mondo. Sicuramente non lo è dell’Italia delle caste, delle corporazioni, delle massonerie, dei baronati, degli amici degli amici, del nepotismo e dei salotti ‘buoni’. E via discorrendo.
Il mondo del vino non è immune a certe logiche e le gerarchie sono spesso disegnate in maniera fantasiosa. Non mi riferisco solo alla critica ma al generale movimento d’opinione che si forma, alla stratificazione della percezione e dell’immagine dell’etichetta X o della cantina Y. Che spesso segue logiche curiose e asseconda meccanismi non del tutto comprensibili. A volte studiati, progettati e ben eseguiti. Altre, forse, del tutto casuali.
Quanti vini celebri e celebrati hanno fama superiore ai propri, oggettivi, meriti? E quanti altri, invece, restano all’ombra, pur meritando? O comunque non brillano della luce che potrebbero permettersi?
Ora, non dico sia un vino poco noto o sottovalutato. Sicuramente non dalla critica nostrana che lo ha sempre tenuto in ottima considerazione. Però il ‘sentiment’, l’alone di prestigio che circonda il San Leonardo*, la reputazione, la percezione e la considerazione di questo splendido rosso a me sembra inferiore al suo valore. E dunque ai suoi molti meriti.
E’ vero, si tratta di un rosso da uve ‘internazionali’ che, è risaputo, non sono proprio quelle più di moda al momento. In più è trentino e non toscano, fatto che forse ne ha frenato il blasone, specie a livello mondiale, nel periodo d’oro della tipologia. Con i supertuscan a dettare legge.
Però quanto è buono? E quanto è territoriale, originale, riconoscibile, capace di tracciare un percorso uguale solo a se stesso? E non sono forse questi i parametri fondamentali per giudicare un vino?
Fine. Penso si sia capito che al sottoscritto il San Leonardo piace parecchio. Di recente ho goduto con una bottiglia di 1996. Non l’annata più completa ma una sorta di millesimo esaltatore dei suoi caratteri, con tanto di inequivocabili picchi aromatici. Piccoli frutti neri, certo, ma soprattutto trame erbacee scure, dall’alloro all’edera. Il tutto in un contesto gustativo verticale ma non scarno. E soprattutto mai crudo o immaturo. Anzi.
La bottiglia mi ha fatto venire voglia di scendere in cantina ad accarezzare la 1988. La mia preferita. Pensavo di stapparla il prossimo inverno ma se il clima continua ad essere questo…