
Prologo. Non è con naturalezza che uso i termini “caro” e “costoso” nella stessa frase. Preferisco discorsi dove entrambi non compaiono. Se proprio sono necessari devo far mente locale per non confonderli.
E comunque non azzero il rischio di usare il primo in luogo del secondo.
Qual è il vino più costoso delle Marche? E il più caro? Molti diranno il Kurni di Oasi degli Angeli (70 euro), subito rimbrottati da chi sa che nella stessa cantina c’è il Kupra (180 euro) che essendo molto più raro costa ben di più. Il nostalgico potrebbe evocare l’Akronte di Boccadigabbia. Alla fine del secolo scorso l’imponente cabernet di Elvio Alessandri aveva una quotazione capace di erodere con efficacia il potere d’acquisto della nostra moneta quantificabile con 50.000 delle care vecchie lire.
E noi, all’epoca, a far mentalmente due conti: meglio una bottiglia del rosso civitanovese o un cartone di Podium di Garofoli (venduto negli stessi giorni a 9000 lire) ? Massì, crepi l’avarizia. “Prendo due bottiglie di Akronte e due cartoni di Podium.”
Alberto Serenelli non ha mai badato ai due concetti. Lui, gran intenditore del montepulciano, memoria di ogni vigna del comprensorio del Conero, ha sempre voluto il meglio per la sua splendida vigna Boranico, due ettari ad Angeli di Varano: potature corte, poca frutta al fine di avere naturale concentrazione di zuccheri e la giusta maturità fenolica, legni nuovi di prima scelta, affinamento lunghissimo. E poi confezioni di lusso: piccole casse di legno, etichette di filigrana carta Fabriano, bottiglie dalle fogge originali ed eleganti nonostante lo spessore e la pesantezza del vetro. Il suo è un target alto. Volutamente elitario. Sfrontato.
I suoi due vini di punta hanno prezzi che non passano inosservati: 150 euro (ma prima era anche di più) per l’Afro e ben 370 euro per il Cesare Alberto. Il loro assaggio, fatto durante una visita nella piccola cantina garagista di via Bartolini a Pietralacroce di Ancona, ha richiamato in me il bizantinismo invero mai sopito: ma questi sono vini cari o costosi?
L’Afro 2003 è un montepulciano in purezza dallo sguardo cupo, ha sentori di marmellata di ciliegie segno di una maturazione protratta, eccessiva. Stessa misura per l’invadenza del legno, capace di appiattire il frutto varietale sotto una spessa coltre di vaniglia e sentore di doga di legno. Palato appesantito, bolso come certi pesi massimi della boxe che a vederli fanno tenerezza e piuttosto li vedresti bene a lottare usando l’antica arte del sumo. Un vino decisamente caro più che costoso.
Il Cesare Alberto 2004 ha un comportamento strano, raro ma non rarissimo. Nei primi minuti della sua vita fuori dalla reboante bottiglia sembra più vecchio della sua reale età: colore scuro ma non impenetrabile, naso di catrame e liquirizia. Ma più lo si agita nel bicchiere, più compie il suo percorso a ritroso nel tempo ringiovanendo come Benjamin Button. L’ossigeno non lo intimorisce, anzi gli dà baldanza: marasca piena, montepulcianesca al midollo. Un velo di polvere di cacao a ricordare la sosta nelle piccole botti precede una bocca voluttuosa, dall’imponente architettura tannica ben contrastata da una notevole cifra alcolica.
Assaggiato a più riprese nel corso di diversi giorni si è dimostrato una roccia contro l’effetto ossidativo di una bottiglia via via sempre più scolma. Curatissimo nella costruzione, forse sin troppo. Ma, nonostante tutto, di coinvolgente tempra e di una finezza insolita per vini di tal materia. Un vino decisamente costoso più che caro.
Epilogo. Li ho confusi e usati a sproposito un’altra volta, nevvero?