Nebbiolo Prima (parte)

Chi mi conosce almeno un po’, sa bene che tra i miei innumerevoli pregi spicca senza dubbio la tempestività, intesa come la preziosa capacità, umana e giornalistica, non solo di stare tenacemente “sul pezzo” ma di anticipare in qualche modo umori e tendenze.

Ci pensavo proprio ieri, dopo aver comprato un walkman a cassette e il mio primo paio di jeans strappati, ma soprattutto dopo aver completato il report relativo agli assaggi di Benvenuto Brunello 1997…
Seriamente, nutro profonda ammirazione per chi riesce a dare forma e condividere i propri pensieri praticamente in tempo reale, a cominciare dai colleghi che offrono i propri servizi in una redazione con ritmo quotidiano, o giù di lì. Ci ho provato anch’io, da ragazzo, ma c’è voluto poco a capire che la deadline pomeridiana e le urla del caporedattore di turno avevano su di me un effetto simile a quello provocato dalla prima visione di Saw l’enigmista. Né il quadro clinico è migliorato con le chance offerte da web-blog-forum, strumenti ideali (per le persone normali) per comunicare nella maniera più sciolta, libera e immediata possibile. Niente da fare: la pagina resta irrimediabilmente bianca se non ho a disposizione un tempo ragionevole, oscillante tra il quadriennio olimpico e l’era geologica, in cui riflettere, cambiare idea, lasciare sedimentare pensieri come fossero marne tortoniane-elveziane di quella Langa che nel cor mi sta.
Ovviamente la ridicola metafora non è casuale, essendo un patetico tentativo di legare il diaristico coming out al racconto fuori tempo massimo della mia partecipazione a Nebbiolo Prima 2011. Cosa potrei aggiungere a quanto già è stato ampiamente argomentato e discusso nei tanti web-report di questi giorni?


Poco o nulla, probabilmente, ma ci tengo lo stesso a sottolineare che:
–    Nebbiolo Prima è uno degli eventi-anteprime più interessanti e meglio organizzati a cui abbia mai avuto la fortuna di essere invitato. Merito di una zona (Roero-Barbaresco-Barolo) che sempre di più si qualifica, naturalmente per la mia modesta opinione, come di gran lunga la più forte in Italia per livello medio della produzione, punte di eccellenza e rapporto qualità-prezzo. Merito di un’associazione come Albeisa che sceglie in maniera intelligente di aprirsi anche alle realtà che non ne fanno parte, schierando ai nastri di partenza un gruppo di vini e di aziende che valgono il viaggio, con buona pace di coloro che per varie ragioni non ci sono ma non mancano di sfruttare avvoltoisticamente la presenza in loco di buyers e giornalisti.
Merito di professionisti come i ragazzi di Artevino e Gheusis, che curano in modo impeccabile un programma fitto ma sostenibile, nel quale le sezioni pomeridiane, le retrospettive, i seminari, le verticali e le visite in cantina diventano momenti fondamentali per completare il quadro degli assaggi coperti sulle nuove annate. Complimenti.
–    L’annata 2007 per i Barolo è stata caratterizzata da una vendemmia calda ed anticipata, e questo è un dato fondamentalmente oggettivo. Tutt’altro che omogenea, invece, appare la lettura di tale dato, bottiglie alla mano, e soprattutto la “valutazione” che ne scaturisce. Personalmente ho trovato un numero importante di vini estremamente espressivi e leggibili, là dove sui 2005 e i 2006 gli assaggi pre-estivi si erano rivelati in molti casi veri e propri rebus. E’ stato più facile del solito riconoscere i diversi stili interpretativi, tra l’altro sempre più lontani dalle polarizzazioni schematiche turbo moderni Vs ultratradizionali.
– Come era facile immaginare, sono le componenti fruttate a proporsi in primo piano, monopolizzando i Barolo più semplici e trovando sviluppo in quelli più interessanti con suggestioni minerali e balsamiche. Sono relativamente pochi i bouquet segnati da surmaturazioni prugnose o cotture, mentre prevalgono nettamente le declinazioni di frutto rosso fresco, croccante, polposo, a volte agrumato.
–    I tratti floreali trovano meno spazio rispetto a vicine annate più fresche come 2004 e 2005, eppure non mancano, specialmente in alcuni grandi classici della denominazione, spesso accompagnati dalle erbe officinali, per una volta senza il Verduno copyright. Sono piuttosto le sfumature riconducibili alle radici e al sottobosco a scarseggiare, in questi 2007, insieme alla tipica speziatura di pepe bianco, quasi sempre sostituita dalla noce moscata, i chiodi di garofano, il cumino, il curry.
–    In ultima analisi la giovialità e la definizione dei corredi olfattivi non supplisce fino in fondo ad un certo deficit di complessità aromatica, che scontenterà soprattutto gli appassionati che si attendono fin dal naso una qualche dose di austerità e vigore. E’ il lato “femminile” del nebbiolo a prevalere decisamente sul suo coté maschile.
–    Dal punto di vista gustativo ci si aspettava dei 2007 pieni e larghi più che tesi e affilati, e così stato. Eppure la dinamica di glicerina e acidità, struttura e scheletro appare il più delle volte armonica ed equilibrata: pochi vini, e quasi sempre non di primissimo piano, segnalano profili molli e beve faticose. Si sente, ovviamente, il tocco generoso di un’annata solare, ma anche un contrappeso strutturale capace di tenerlo a bada, con rare derive brucianti.
–    I tannini sono tra i più maturi e integrati che mi sia mai capitato di trovare su nebbioli così “giovani”: non che manchino, attenzione, ma la percezione è per molti versi soffice e accogliente, là dove ad esempio i 2006 rivelano una presenza decisamente più accentuata. Se è nella forza tannica che si esprime il carattere di un grande Barolo classico, questi 2007 appaiono senz’altro qualcosa di diverso; non di inferiore, però, perché la trama è quasi sempre succosa e penetrante, con pochi vini a ricordare la grana asciutta e disidratata di tanti 2000 e 2003 (ma anche qualche 2001).
–   Se la Langa è la Cote d’Or italiana, è giusto prendere in prestito una consueta rappresentazione borgognona: 2007 da spiegare come annata di “frutto” più che di “terroir”. Che quasi sempre significa un ruolo più sfumato dei tratti distintivi e gerarchici di vigne e sottozone, il restringimento della forbice che separa i punti di riferimento della denominazione dalle seconde linee, una diffusa omogeneità di espressione e una crescita della qualità media, ma anche una ricerca più difficile sulle punte di eccellenza, profondità ed emozione assolute.
–    A pensarci bene, mai come in questo caso sembra un mero esercizio accademico tentare una “valutazione” dell’annata. Innanzitutto per quanto mi riguarda non è così scontato che minore acidità e tannino maturo significhino automaticamente scarse prospettive di evoluzione. Sono convinto (anche pensando a certi millesimi come ’47, ’61, ’82, ’85, non certo freschi) che certi Barolo nascano equilibrati e restino equilibrati più a lungo di quanto si possa prevedere.
Non di sola verticalità vive il Barolo da invecchiamento, mi verrebbe da dire. In secondo luogo, mi pare che la sintesi mediatica risenta ancora troppo dei cambiamenti in corso nell’approccio critico: dieci anni fa un’annata così sarebbe stata annunciata da squilli di tromba, oggi prevale una certa dose di prudenza e quasi di diffidenza rispetto a stagioni ed interpretazioni che riportano ad atmosfere carezzevoli e avvolgenti. Magari si ripensa alla lezione di tanti ’90 e ’97 e 2000 dal fiato corto (ma non tutta la stampa era allineata fin dall’uscita), magari è solo una naturale reazione di forza contraria a quello che è stato.
Comprensibile, purché non si passi dall’estremo della piacevolezza come unico mantra alla piacevolezza come peccato da espiare. Sarà perché nella mia esperienza una cosa piacevole non è necessariamente banale, facile o scontata, ma aspetterei un attimo a sostituire un modello estetico con il suo opposto. Anche perché, se tutte le annate di Barolo fossero come la ’96 o la ’99 (per citarne un paio sulla cui autorevolezza sembrano essere tutti d’accordo), che cosa potremmo berci nel frattempo?
Continuo a pensare che non ci sia un ordine di merito che consenta di mettere in fila l’annata del cilicio e quella dell’emozione, quella col massimo di diversità e quella che sa concedersi con relativa disponibilità.
–    Capiamoci: per gusto personale so già che il rifornimento barolesco sui 2007 mi obbligherà ad un mutuo più sostenibile rispetto a quelli aperti per mettere da parte, ad esempio, i ’99, i 2001 e i 2004 (con i 2006 non riesco ancora ad entrare in piena sintonia, ma so di essere abbastanza isolato). Da acquirente, insomma, tendo generalmente a preferire nebbioli più longilinei e rigorosi ma resto dell’idea che la sensibilità soggettiva non debba coprire completamente una riflessione più ampia.
E in questo senso, in attesa di nuovi assaggi e riassaggi nonché dei cru e delle riserve più prestigiose, sarei molto cauto nell’archiviare questa 2007 come annata facile e pronta tout court…

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