Si fa tardi a dire "grande annata"

Buongiorno picchiatelli, oggi si fa terapia di gruppo. C’è sempre l’interesse privatistico, ovviamente, perché conto col vostro aiuto di limitare, se proprio non è possibile risolverli, i miei cronici problemi di insonnia. Ulteriormente aggravati da quando, un mese oramai, si è riaperta la famigerata imprescindibile universale stagione delle anteprime.

Da Taurasi 2007 a Brunello 2006, e in attesa di complicarci ulteriormente la vita con gli appuntamenti siciliani, calabresi, sardi, pugliesi, lucani, marchigiani, abruzzesi, umbri, emiliano romagnoli, liguri, piemontesi, valdostani, lombardi, trentini, altoatesini, veneti e friulani (purtroppo in Molise non mi hanno invitato), una domanda arriva puntuale tutte le notti a bloccare sul nascere la fase Rem: CHE COS’E’ LA STRISCIA MORENICA? Ehm, no, mi sono confuso con l’altro grande interrogativo irrisolto dalla nostra generazione. Volevo dire: COME CACCHIO SI DECIDE QUAL E’ LA GRANDE ANNATA?
Il fatto è che in tutto questo luccicare di stelle, e relative discussioni su chi abbia la titolarità e la credibilità per esprimere giudizi al riguardo, mi sembra stia scivolando ai margini il cuore stesso della questione. Cioè, abbiamo davvero in mente tutti la stessa cosa quando diciamo la nostra su una vendemmia, al netto delle impressioni su denominazioni, vitigni, stili, singole riuscite e ammennicoli vari?

Ma sentiamo chi c’è in linea. Pronto, chi sei?
Sono Antonio da Perugia“.
Vai, Antonio.
Secondo me bisogna innanzitutto mettersi d’accordo per quali vini vale la pena parlare di grande annata… Un conto è dire, che so, di un dolcetto, un grechetto, una falanghina, un conto è misurarla su un Barolo, un Brunello, un Taurasi. Nel primo caso non parlerei nemmeno di grande annata, ma semmai di ottima annata, annata buona, soddisfacente, scarsa e così via. Voglio dire, per me la grande annata è prima di tutto capacità di positiva  evoluzione nel tempo, potenziale di longevità. Che senso ha dunque per un vino che va bevuto nel giro di una o poche stagioni? Su questi sarei orientato a parlare di riuscita. L’annata è buona, cioè è riuscita, se in quei vini ci sono le condizioni richieste che li rendono gradevoli, immediati, maturi al punto giusto, senza particolari criticità. Altra storia è quella dei grandi vini da invecchiamento. Se è pacifico e condiviso chiamarli così, credo che l’annata migliore sia quella che dà le maggiori soddisfazioni nel tempo. Per questi vini, e solo per questi, vale la pena parlare di grande annata, o comunque vale la pena approfondire il discorso e tentare di creare una letteratura. A me interessa sapere se l’82 è stata grande per i Barolo o se trovo dei super Brunello ’83, che mi importa di sapere se il ’71 ha dato buoni dolcetto? Insomma, a seconda del vino si passa dalla mera puntualizzazione della grammatica stagionale alla letteratura che racconta la storia di una denominazione. I primi possono al più scrivere un racconto breve, mentre per gli altri si tratta di comporre un vero e proprio romanzo. E’ un discorso molto più complesso e organico. E adesso scusatemi, ma ho una Thomas Hardy’s 1968 che mi aspetta“.
Buona bevuta, Antonio. Sentiamo il prossimo radioascoltatore.
Buonasera, specialmente al mio assistente 4-4-2 mascherato“.
Ma ma ma, è proprio lei?
E chi vuole che sia, Carletti? Sono il professore Duilio De Magistris. Cari ragazzi, vedete, la questione è piuttosto complessa, anzichenò. Mi trovo certo d’accordo con l’amico che ha parlato prima, anche perché il rating delle annate è fatto per il mercato, non scordiamocelo. Se compro un vino importante, tendenzialmente caro, voglio sapere di che livello è, quanto posso pensare di tenerlo in cantina, se rivenderlo tra qualche anno. E’ un investimento ed è sempre stato così. Vogliamo parlare degli albori del marketing e del commercio del vino, di quali fossero i vini che spuntavano i prezzi maggiori? Non credo ci sia bisogno di ricordare che erano proprio quelli capaci di durare di più, in quel caso per viaggiare, certo, ma è un retaggio che ci siamo portati dietro… A parte i famosi anni del tutto e subito, che però mi pare siano al tramonto. Ricordo quella volta a Bordeaux, era da poco passato il 1850 che… tu tu tu tu“.
Purtroppo è caduta la linea, vediamo se c’è subito un’altra chiamata.
Sono Giampaolo da Montefalco“.
Il microfono è tuo, Giampy.
A Paolè, ma che stannu addì quisti? Per me la granne annata è qquilla che nun te dà problemi in mezzo a la vigna fiju miu. Quilla che nun te piove troppo, che quanno vai a vendemmià te dà quei bei grappoli sani, con quilli acini bbelli, senza mancu ‘na punta de marcio. Che pu è la stessa annata che quanno li spremi c’hai ‘n mosto nero come la pece, co ‘n profumo… che pu si raccogli tardi t’ariva anche a 15 gradi vè, coccu mio“.
Scusa Giampaolo se ti interrompo ma mi dicono ci sia in linea un tuo collega dall’Irpinia.
Buonciorno, sono Salvatore da Montemarano“.
Buongiorno Salvatore, qual è la grande annata per te?
Giustamente, l’annata bella è quando l’aglianico purtroppo matura tutto a posto, che dobbiamo fare pochi trattamenti, ci facciamo ‘a puta verde, noi raccogliamo sempre dopo i morti, che il mosto arriva a 25 brics, quindici gradi, una bella cidità, quel colore scuro, di concentrazione naturalmente, i tannini cremosi di lungo invecchiamento che purtroppo l’annata è andata bene. Arrivederci“.
Molto chiaro, Salvatore, grazie mille. Ma mi dicono che c’è un altro amico in ascolto.
Richard da Pomerol“.
A te la parola, Richard.
La grande annata è quindi quella in cui si riescono a portare in cantina uve merlot o cisterne in condizioni perfette dal punto di vista fito-sanitario e analitico, con un equilibrio tra zuccheri, acidità, antociani, polifenoli, ph, ideali per un affinamento in rovere di primo passaggio e per dei vini che siano leggibili già da giovani ma in grado di raccontare nel tempo le diversità stilistiche. Microssigenare, microssigenare, no non dicevo a voi, ero sull’altro telefono. Voglio approfittare per dire che non se ne può più di questi vini tutti uguali dove si sente solo la mano dell’enologo, come ho sempre sostenuto non dimentichiamoci che il vino si fa in vigna e racconta il territorio“.
Grazie Richard, in bocca al lupo per la tua quattromillesima consulenza, ti salutiamo ché le linee oggi sono roventi. Chi sei?
Franco da Bergamo, borgo che nel cor mi sta“.
Dicci tutto, Franco.
La grande annata sinceramente non so dirvi qual è ma so bene qual è la piccola annata, e cioè quella in cui gli altri pseudo-colleghi dicono che va tutto bene, madama la marchesa. Ma per fortuna ci sono giornalisti scomodi come il sottoscritto che sanno svelare la verità e dire no al cambio del disciplinare. Perché non è possibile preparare un cestino confezionato quando si mangia alle Anteprime, ma mi facciano il piacere, blu le mille bolle blu“.
Coraggioso come sempre, il nostro Franco. Ma ecco un nuovo ascoltatore. Tu sei?
Gianni da Torino, Svizzera. Volevo dire che le grandi annate sono quelle che le bevi fra sessant’anni, io per questo le conservo tutte nella mia cantina. Quindi possiamo cominciare a dire qualcosa oggi solo sulla piovosa ma austera ’51, che ha dato grandi vini a Capo Verde e in un cru esposto a est di Bangkok, coltivato da un vietcong che dopo la guerra l’ha riconvertito in un campo di papaveri prima di finire a vendere tannini ellagici a Domodossola“.
Grazie, Gianni. Abbiamo tempo per un’ultima telefonata. Chi ci chiama?
Arpagone da Hong Kong“.
Ciao Arpagone, come la pensi sulle annate?
Minchia oh, cioè la grande annata è quella che tipo compri la bottiglia a 500, no, e minchia tipo dopo un’ora di rolex l’hai piazzata a milledue. Io e la mia ragazza, Vitovska, no, c’abbiamo fatto l’attico qua nel far east, figa. Perché minchia, questi non ci capiscono una mazza, oh, non c’hanno manco l’enzima che dopo mezzo bicchiere sono fuori come una ringhiera, minchia oh“.
Prezioso contributo anche quello del signor Arpagone, grazie al quale posso provare anch’io a dire la mia. Secondo me si può e si deve provare a valutare, qualificare, classificare le annate all’uscita, ma esattamente come i punteggi fini a sé stessi non sono più sufficienti per far vendere un vino, allo stesso modo gli squilli di tromba annunciati dalle Anteprime rischiano di essere più controproducenti che altro se non viene applicata una metodologia di analisi seria, laica, argomentativa, mirante a costruire una memoria condivisa più che a mettere il carro davanti ai buoi.
Si possono e si devono fare previsioni, cercando soprattutto di raccontare punti di forza e punti di debolezza del millesimo in questione, immaginando finestre di beva e curve di evoluzione, ma alla fine sui vini da invecchiamento l’unica parola sensata può dirla solo un tempo proporzionale alle aspettative minime che è normale proiettare su quella denominazione/vitigno. La grande annata diventa, allora, quella in cui sei ragionevolmente sicuro che non troverai brutte sorprese ossidative, conservazione a parte, dove ti misurerai magari con qualche squilibrio ancora irrisolto ma non irrisolvibile e soprattutto quella in cui non devi per forza preconoscere tutto perché sai che più o meno dove caschi, caschi bene, dai numeri uno alle presunte seconde e terze linee.
Non so dire il come e il perché, ma so che seguendo questa logica, bottiglie stappate alla mano, la 1989 è sul serio una grande annata in Langa come la 1988 la è in Toscana. E per il resto, magari lo capiremo in un’altra seduta psichiatrica. Intanto può partire la prossima canzone…

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