Premessa: prima di leggere questo post è bene leggere i due commenti fatti. A quel punto ognuno può decidere se andare avanti. Chi non volesse proseguire, ma ha comunque un pizzico di curiosità, può iniziare dalla fine (forse è meglio) per concludere coi commenti.
“ma ‘sto sardo, parla solo di vini sardi?”
“non solo parla di vini sardi, ma sempre dei soliti nomi… sarà il classico bevitore di etichette!”
Per questo e tanto altro dirò sempre Turriga Mon Amour.
L’ultima volta che l’ho assaggiato, ho pensato che non era la bottiglia giusta. Niente tappo, questa volta l’ormai disprezzato sughero non c’entra niente. Solo una di quelle bottiglie che non riconosci come integre, perfette. Ma io sapevo che l’annata 2006 era addirittura migliore della 2005. Pazienza, nessuna seconda boccia, assaggio rinviato.
La 2005 invece era strepitosa. Assaggiata alla presenza di Thierry Desseauve, il quale afferma che è uno dei vini più interessanti del Sud (che sia Francia o Italia), affascinava per un naso ricchissimo. More, mirtilli e ribes in successione, poi cacao, tabacco dolce e tante note speziate. Ma la bocca… che bocca ragazzi. Una freschezza incredibile che attraversava il palato dall’attacco (morbido e di impatto mediterraneo) fino alla fine, dove sembrava venir fuori una sensazione carnosa e saporita eccezionale. Che vino!
Che ne penseranno i miei amici campano/umbri? È per questo che l’ultima volta che sono stato ad Avellino per assaggiare qualche vinello, oltre a deliziarmi con un ottimo pollo irpino mangiato rigorosamente con le mani, ho deciso di portar con me una bottiglia di Turriga ’99. Al desco sedevano il Boco e il De Cristofaro perciò l’assaggio doveva per forza esser fatto alla cieca.
Non sto neanche a dirvi che Paolo l’ha riconosciuto non appena ha visto alcune gocce cadere nel suo calice; piuttosto vi dico che, anche quella versione, era da favola. Naso strabiliante in cui il pepe nero e la prugna facevano eco a note nettissime di mirto e ad un palato fresco, vitale, grintoso che faceva presagire una (possibile) vita ancora lunga. La cosa più bella è che con lui (con il vino, s’intende) non faccio mai brutta figura. Stappo e sorprende.
Fu così per un ’94 freschissimo bevuto dopo 16 anni, per un ‘97 sottile, ma elegante e succoso e anche per un ’98 robusto, potente, ma mai pesante. E, forse, fu così anche per un ’91. Ma non ve lo assicuro.
L’ho bevuto quando ancora di vino ci capivo poco (e questo non vi aiuta, perché potrebbe essere l’altro ieri). Per confermarlo dovrò assaggiare l’altra bottiglia che ho in cantina. Vorrei aspettare il momento opportuno (ma se seguo il consiglio di un film, so che stapparla è il momento opportuno) perché ci tengo proprio. Mi ricordo che, andando a comprare lo sfuso per casa, vidi una bottiglia sullo scaffale. 100mila lire riportava l’etichettina bianca. Avrei dovuto risparmiare qualche anno vista la paghetta di allora.
Era Settembre e dopo due mesi avrei compiuto gli anni. Soliti regali. Cd, libro e scatola marrone. Apro e trovo una bottiglia la cui retro etichetta recitava: “vino a vita molto lunga”. Era il ’91. Fu proprio l’etichetta di Argiolas a fare da “prima pietra” per la mia cantina. E non è il solo motivo per cui dico Turriga Mon Amour.