Allora sentite qua: se pensate che sia assurdo dedicare tanto tempo a descrivere un vino, che in fondo è argomento irrilevante e tutto sommato noioso, sappiate che le cose sono molto peggio di quel che sembrano.
Dietro ogni smaliziato appassionato si nasconde un potenziale serial killer, capace di vivisezionare una bottiglia fino ad ammazzarti di noia, brillante quanto un impiegato del catasto nel catalogare chissà quali profumi e inflessibile come un cronometrista alle olimpiadi nella misurazione della persistenza aromatica di qualsiasi cosa abbia forma liquida.
Ma c’è di più, e peggio temo. Se dare un punteggio esatto di una roba notoriamente in continua evoluzione come il vino, capace di sorprenderti di continuo, per di più figlio di misurazioni necessariamente soggettive, appare già impresa di una presunzione mostruosa (per me questo Brunello è da 83+… Macché, non senti che ciliegia matura, io dico 84 -; e così via…), sappiate che la mente di questi psicopatici arriva a partorire elucubrazioni ben più ardite.
Scena n. 1: “Hai sentito com’è buono questo bianco? Si ma tu hai bevuto la prima parte della bottiglia, nel secondo tratto il vino mi pare più chiuso, quasi inespressivo, bisogna arrivare al fondo per ritrovare l’equilibrio iniziale”.
Scena n. 2: “Questa bottiglia non mi pare come le altere, e neppure questa, né questa, o questa… “. E la cosa si ripete fino a stappare l’intera cassa che avevi comprato, sostenendo che nessun vino è uguale all’altro, anche se parliamo dello stesso produttore, della medesima etichetta e ovviamente dell’identica annata.
Scena n. 3: “Non mi è piaciuto molto il Barolo X del produttore Y, eppure ne parlano tutti bene. – Beh, forse perché non hai saputo aspettare. Quel vino è straordinario dopo cinque giorni dall’apertura della bottiglia e tocca il picco d’eccellenza al terzo mese.. -”.
Certo, sarà agevolissimo godere di quel vino al ristorante. Chi non ha almeno 90 giorni da passare a tavola?
Allora, se siete persone normali mi avrete abbandonato da un pezzo. Se invece mi seguite ancora, beh allora per voi potrebbe essere già troppo tardi: il virus del degustatore pazzo scorre già nelle vostre vene!
E allora eccovi servita una degustazione da par vostro, figlia di un doppio assaggio di grandi – vecchi toscani (vini che per un verso o per l’altro hanno fatto storia), assaggiati dal sottoscritto poche ore dopo averli stappati, e da Pierpaolo Rastelli* il giorno seguente, più o meno ventiquattr’ore dopo.
* Pierpaolo Rastelli appartiene da tempo alla peggior specie di psicopatico sopra descritta, con derive compulsive difficili da raccontare. Oltre che grande degustatore (o meglio conoscitore) di vini, fatto che tuttavia non gli ha impedito di diventare responsabile per le Marche della Guida Vini d’Italia del Gambero Rosso; ha un ruolo chiave anche nelle recensioni dei ristoranti dell’Espresso. Cura inoltre l’unica guida italiana ai vini biologici e chissà che altro ancora…
Poggioreale – Chianti Rufina Riserva Spalletti 1957
Antonio: un vecchio signore che deve essere stato piuttosto bello qualche hanno fa. E che per me resta comunque affascinante. Come spesso succede a vecchi Rufina, “i più alti dei Chianti”, mantiene una durezza tannica e un’acidità sostenuta, che forse mai troverà compiutezza ed equilibrio rispetto al contesto, ma che mantiene il vino in vita. Sorprendente
Pierpalo + 24h: non assaggiato
Castel Ruggero – Chianti Classico Riserva 1970
Antonio: molto più stanco sia sul piano aromatico delle sensazioni gustative. Note affumicate ormai invadenti, cenni di maron glacè e fiori secchi. Piuttosto fermo e stanco
Pierpalo + 24h: oramai raggrinzito, non si muove d’un centimetro, appoggiandosi stancamente a una struttura sfibrata e collosa
Ruffino – Chianti Classico Riserva Ducale Oro 1973
Antonio: niente. Per chi ha avuto la fortuna di assaggiare alcune grandi bottiglie degli anni ’80 di questo vino, una mezza delusione, anche se non del tutto inaspettata. Evoluto-andante, per giunta piccolo e amaro in bocca
Pierpalo + 24h: tannini polverizzati e precipitati. Non resta che rimembrare le belle gesta andate. Scollinato. Anzi tramontato.
Nozzole – Chianti Classico Riserva La Forra 1980
Antonio: il vino è ancora in vita, e questo è tutto. Nessuna emozione, nessuno slancio. Solo la sensazione di una grande stanchezza, di quell’immobilismo che porta con se il timore di non farcela
Pierpalo + 24h: il pietoso Dr.Ossigeno ha staccato la spina. Eutanasia di un vino
Antinori – Chianti Classico Riserva 1983
Antonio: il vino è ingiudicabile visto un lieve ma fastidioso sentore di tappo. Per quel che vale sotto c’è materia e sostanza, data probabilmente da una buona dose di cabernet che ne condiziona (positivamente) la struttura e i tratti aromatici vegetal – balsamici
Pierpalo + 24h: fieno secco. Quel tocco che ti rimanda all’inizio dell’estate quando le cicale frignano e il sole non dà pietà. Un tocco di peperone. Che ci sia dentro del cabernet? Mah, bisognerebbe scavare a mò di archeologi per (ri)trovare il senno produttivo dell’epoca. Di certo il vino scalcia al palato. La silhouette acida è quella del sangiovese e la ciccia alcolica non s’è staccata dall’osso tartarico. Un bel sorso, carico di amarcord per un periodo oramai del tutto tramontato
Castell’in Villa – Chianti Classico Riserva ‘85
Antonio: una bottiglia su tre di tappo a conferma del trend non incoraggiante sull’85 di questa fascinosa cantina di Castelnuovo Berardenga. Le bottiglie buone, comunque, si confermano buone. Vino di grande fascino territoriale, che parte su sfumature di cacao, cioccolato, grafite, carne alla brace e pepe nero, fino a raggiungere rinfrescanti e giovanili note di arancia e fiori. Bocca magistrale e vibrante. Cresce alla grandissima
Pierpalo + 24h: freschissimo, mobile e terroso. Un sangiovese di razza, arcigno e grintoso: ringhia, strilla, si fa notare. Scalcia come un mulo, abbia come un cane, salta come un tigre. Uno zoo. Non date retta ai cartelli: dategli da mangiare. Magari ciccia sanguinolenta…
Casanova di Neri – Brunello di Montalcino 1985
Antonio: come si cambia… Per me uno dei vini, forse addirittura il vino dell’intera degustazione. Alla seconda vendemmia della sua storia, la cantina gestita allora dal padre di Giacomo, tira fuori dal cilindro un vino clamoroso: carnale e personale, fatto di fave di cacao, prugne mature, ciliegie al naso, dolce e saporito in bocca, distinto da un bel tannino. E poi tabacco, legni di cedro, tartufo bianco…
Pierpalo + 24h: impressionante. Nel colore, nel naso ancora freschissimo, nella texture del palato. Seta e acciaio, gola e portamento, eros e thanatos. Rapisce ed è capace di uccidere i vostri sensi, solo per donarvi il puro piacere personale. Impero dei sensi.
Andrea Costanti – Brunello di Montalcino Colli al Matrichese 1985
Antonio: stessa annata, stessa denominazione, stessa vendemmia personale (anche qui la seconda), vino molto diverso del precedente. Evoluto fino sembrare liquoroso, piatto, evanescente da centro bocca in avanti dove restano percepibili solo dei tannini senza sapore
Pierpalo + 24h: requiescat
Le Capannelle – Capannelle 1987
Antonio: ampio, solare ma vivido, finissimo ed elegante, verticale nella dolcezza del frutto che sa di ciliegia matura, scorza d’agrume candito, e poi terra, la lieve balsamicità del rosmarino e dell’edera. Bocca favolosa, compiuta, sanguigna, saporita fino a sembrare quasi salata, di grandissima profondità. Tannino un po’ contratto, seppur quasi impercettibilmente. Uno dei vini di giornata
Pierpalo + 24h: il tempo è poco clemente. Il giorno dopo svolge il suo compitino, fatto di terrosità scontrosa, indotta da un olfatto un po’ velato dalla terziarizzazione ossidativa e un palato granuloso, poco propenso a mostrare la grandezza del tempo che fu. Fu vera gloria?
Poggerino – Chianti Classico Riserva 1988
Antonio: prima bottiglia ossidata, seconda tra le migliori dell’intera degustazione. Note di goudron, se si può dire, in un contesto di equilibrio e finezza, profondità e vibranza acida. Circoletto rosso
Pierpalo + 24h: abbiamo assaggiato una bottiglia probabilmente in forma il giorno prima: acidità vivida ma innestata nei ranghi di una strottura ben solida, spalla alcolica resistente, naso di catrame e foglie secche. Tutto senza ben scandito ma senza far scattare la scintilla di un amore eterno. Bell’annata, bella serbevolezza. Ma le emozioni affiorano altrove.
Castello di Ama – Chianti Classico Riserva Vigneto Bertinga 1988
Antonio: confermata la legge che non vuole un ottantotto del centro Italia meno che molto buono. Il Bertinga (prodotto solo dall’88 al ’90) ha colore e note scure che, dopo l’iniziale riduzione, liberano note di fiori di viola e punta di matita. Vino leggiadro, a tratti vellutato, finale di liquirizia penalizzato solo da un tannino non impeccabile.
Pierpalo + 24h: non è perfetto. Affiorano piccole crepe nell’impianto tannico, qualche cenno ossidativo un po’ troppo insistito, una generale sensazione di stanchezza aromatica. Però l’acidità segna e la saporosità ancor impatta al palato. Si spegne velocemente senza troppi convenevoli, nell’asciuttezza di un ricordo di fiori secchi.
Montevertine – L’Ottantanove di Sergio Manetti
Antonio: il naso all’inizio è reticente ma pian pianino esce alla distanza facendo capire come sia ancora in una meravigliosa fase riduttiva. E allora lo vedi stiracchiarsi e tirare fuori profumi ammalianti da grande sangiovese d’epoca: dalle scorze d’arancio alle spezie (curcuma) fino ad accenni di erbe aromatiche secche, passando per sensazioni terragne e minerali. In bocca non è monumentale, anzi, ma risulta comunque splendido per dolcezza e tensione gustativa, oltre che per l’indiscussa profondità. Un vino che può dividere.
Pierpalo + 24h: ci tocca in sorte un residuo un po’ cupo, velato, smorto. Precipitazione di antociani e tannini indotti dalla polimerazzazione. Troppe parole complesse: siamo vicini al fondo e percepiamo il bordo di una nuvola polverosa. Il naso mantiene note leggiadre di sangiovese evoluto e il palato è sottile, un po’ sfibrato, con la trama tannica bucata. Tramanda idea di finezza, non di peso. Ma la tempesta di sabbia incombe sul palato.
Col d’Orcia – Brunello di Montalcino Poggio al Vento 1990
Antonio: non era la prima volta che l’assaggiavo e devo dire che l’impressione che avevo di questo vino è sostanzialmente confermata. Non sarà emozionante come altre versioni, però sfido a dire che questo Brunello non sia tra i migliori dell’annata. Le cose migliori arrivano da una bocca appagante e centrata, a tratti solare, capace di chiudere in scioltezza su tannini perfettamente risolti e aromaticamente saporiti.
Pierpalo + 24h: Un buon sorso, terso e dinamico nel sapore grazie a tannini integri e vellutati. Ben centrato anche il naso, solido e definito nei sui rimandi di fiera apperenza sangiovesista (grafite, fiori secchi, bouquet garni) con tratteggi affumicati. Un vino ancora pulsante e vivo.
Fattoria di Felsina – Fontalloro 1999
Antonio: un Fontalloro in piena forma, dai profumi al tempo stesso serrati e avvolgenti, capaci di far intravedere un percorso futuro luminoso ma al tempo stesso già decifrabile e appagante. Centro bocca saporito e dolce di frutto, finale solo un filo crespo, con una live diluizione alcolica e tannino che accusa solo un accenno di immaturità
Pierpalo + 24h: il giorno passato non sembra aver inciso nel registro olfattivo: c’è il fiore violaceo, la frutta croccante, una terrosità tipica di Castelnuovo Berardenga. Generoso al palato, dove fende e si ritira, gioca con le nostre papille come il gatto col topo. Un gatto agile e giovanissimo, in piena vigoria e con le unghie affilate come coltelli
Case Basse Soldera – Brunello di Montalcino 2000
Antonio: è il vino che riscalda gli animi e scatena la discussione più accesa. Si va da commenti entusiasti (pochi) a chi bolla la bottiglia come “200 euro d’aceto”. Quel che è certo è che la volatile è alta e si sente, per il resto è un rosso difficile da decifrare, anche perché i miei assaggi passati su questo millesimo erano stati decisamente più fortunati
Pierpalo + 24h: nella bottiglia che abbiamo sentito la volatile non è la componente principale del bouquet: profumi eterei, molto sfumati, più volti verso una certa algidità aromatica che non direttamente comunicativi. Stessa indole in bocca dove, in un contesto un dimesso, preferisce scontrosità e toni terragni a dolcezze di frutto e calore alcolico. Una matassa inestricabile, inviolabile. Non sarebbe male, a patto che non costasse quello che costa…
Stella di Camplato – Rosso di Montalcino 2005
Antonio: un vino che mi piace da matti e non mi ha mai deluso. E così è anche stavolta: sapore, dolcezza e verticalità, cenni di alloro e grafite, personalità da vendere e piacevolezza non scontata. Un rosso splendido, che a mio parere segna una sorta di svolta per la categoria
Pierpaolo + 24h: hors categorie. Troppo giovane il virgulto, quasi a far il paio con la grazia e l’entusiasmo di Stella di Campalto, sua fattrice. Annata col segno meno ma vino che si difende benissimo perché gioca con le vibrazioni algide e sulla croccantezza di tannini ben impastati nella calibrata alcolicità. Ancor meglio al naso, tra erbe aromatiche e violetta archetipale. Prima di armarvi di pazienza per cercarlo negli angoli della vostra enoteca di fiducia considerate che 2006 e 2007, già assaggiate e sezionate, sono due versioni gran lunga migliori.
Castellare di Castellina – I Sodi di San Niccolò 1990
Antonio: al momento del mio assaggio il vino è davvero difficile da leggere: scuro, monolitico, fisso su se stesso, incapace di distendersi sia aromaticamente che sul piano fisico…
Pierpaolo + 24 h: se qualcuno vi dice che i vini di Castellare dei primi anni ’90 sono quanto di meglio possa esprimere il territorio chiantigiano, beh, credetegli. Almeno a sentire questo 1990 che sembra fatto ieri tanto è cesellato al naso: terra, frutto, fuoco e cenere, poi torna il bosco con i suoi balsami e un corollario di erbe aromatiche. Bocca sontuosa, piena, velluto fatto tannino e tannino fatto sapore. Paradigmatico.
Capito a che mi riferivo all’inizio?