
Hai voglia a dire che approcciamo le cose laicamente, che non ci facciamo condizionare dal chiacchiericcio e dai luoghi comuni. La verità è che omai il tam tam sul vino giusto e quello sbagliato, quello vero e quello falso è talmente forte che, ci piaccia o no, ne siamo tutti condizionati.
Fai più di quindici bottigie l’anno e non attacchi le etichette con lo sputo? Sei un industriale senza scrupoli. Hai una pressa nuova e non usi più il torchio del museo del vino del paese? Ti sei piegato al modernismo e la pagherai cara. Regali due bottiglie ad un amico di San Francisco. E’ evidente, stai cambiando stile e faresti di tutto per conquistare il mercato americano.
Ci sta, allora, che invitato ad una degustazione da una grande cantina che perlatro stimo molto, in mano a persone squisite e autentiche, arrivi al dunque con una certa sufficienza, senza particolare slancio o attese.
L’occasione era il compleanno del Cumaro, storico montepulciano di Umani Ronchi che ha raggiunto le 20 vendemmie. Tutti in cantina (bellissima) a Osimo, Gianni Fabrizio camicia celeste e giacca grigia a menar le danze, la famiglia Bernetti al gran completo per gli onori di casa, e una serie di bottiglie vecchie e nuove per celebrare l’occasione.
Pronti via, anche il più svogliato del tavolo dopo cinque minuti drizza le papille. Non un vino che non sia almeno molto buono e occhi sgranati davanti a più di un bicchiere.
Tra i verdicchio, applausi a scena aperta per un sorprendente Casal di Serra Vecchie Vigne ’07, due ettari e mezzo di vigna con piante di almeno qurant’anni. Annata calda? Sarà, però i profumi minerali, rocciosi, di fungo e sottobosco, con sfumature di muschio e mandorle fresche raccontano un’altra storia. Che trova in bocca il suo lieto fine: agile e potente, caldo eppur leggiadro, incrocia acidità vibrante, dolcezza appagante, concentrazione e profondità. Senza un filo d’alcol sopra le righe (92/100).
Raggiunto il massimo? Macchè… Ecco la coppia Plenio 2006- Plenio 2005. Sulla carta non dovrebbe esserci partita ma alla fine, contro pronostico, esce alla grande il secondo. Sarà l’anno in più, non saprei, ma questo verdicchio affinato in botti grandi da 40 ettolitri e acciaio ci sa fare: niente delicatezze o verticalità, qui si gioca pesante, senza però perdere di vista l’equilibrio. Potenza e controllo, profumi di roccia bagnata, nocciola tostata e legni orientali, oltre al frutto caldo e maturo; bocca di incredibile sapore e finale di grafite. Una meraviglia che col piatto giusto… (91/100)
Salto i rossi giovani, che in una degustazione di questo tipo giocano per forza da comprimari, e passo al festeggiato: Cumaro 2001 (un po’ monolitico e accartocciato 87/100), Cumaro 1995 (sanguigno e terroso, morbido, definito e poi tannico bello e cazzuto 90/100), Cumaro 1990 (se ne avete una bottiglia bevetela perché domani potrebbe essere tardi 83/100) e Cumaro 1988, il rosso del giorno (93/100).
Un grandissimo vino, uno di quegli ottantotto del centro Italia che spesso sorprendono. Scendendo nei dettagli, un rosso capace di raccontare un montepulciano meno usuale. Che dopo il giusto invecchiamento diventa addirittura elegante, molto diverso dal groviglio di frutto e materia delle fasi giovanili. Avevo assaggiato da poco un cugino abruzzese di vitigno: il Tonì di Cataldi Madonna di pari annata. Risultato simile e pioggia di conferme.
Per quelli che “lo so io com’è quel vino e da retta a me, non ci tireranno fuori mai niente di buono…” Oh, yeah!
Ah, dimeticavo: buon compleanno