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Falanghina di Valdobbiadene Dop

C’è un vantaggio ad avere quattro lettori contati: li conosci personalmente uno per uno, ma soprattutto puoi prevedere le loro reazioni. Ora, per esempio, è come se vedessi la vignetta dei loro pensieri: “Quattro righe per un post di Paolo? Dov’è la fregatura?”

Ecco, chi dice che le guide sono ormai inutili non ha considerato quanto tempo sottraggano, per fortuna, ai grafomani come il sottoscritto. Niente trattati universali, allora, ma una rapida condivisione di una riflessione che mi ronzava nella testa in questi giorni di scartonamenti, catalogazioni, scapsulamenti, insacchettamenti e compagnia cantando. Attività propedeutiche all’inizio della prima sessione di assaggio campana, riservata alle aziende delle provincie di Benevento, Caserta e Napoli, che si svolge a Torrecuso.
Terminata l’archiviazione, mi cade l’occhio sul gruppo degli Spumanti, una dozzina in questa tornata. In prima battuta mi accorgo che sono quasi la metà come numero rispetto ad un paio d’anni fa: un calo inferiore soltanto a quello registrato nella tipologia “passiti e vini dolci”, praticamente scomparsi, se non nelle gamme almeno nelle campionature, là dove invece i rosati non solo resistono ma sono sempre di più.

E mi tornano in mente tante cose lette ed ascoltate in questi anni e in questi mesi: le bollicine autoctone che non hanno nulla da invidiare a quelle realizzate con i vitigni “internazionali”, le bollicine del sud che sono la risposta all’omologazione del gusto, le bollicine campane che raccontano i territori ma non sono valorizzate a dovere, soprattutto da certa stampa. Ah, il tutto naturalmente condito con la regolare stoccata “agli snob che bevono Champagne solo perché fa figo ma non capiscono niente”, quelli che “i nostri spumanti non hanno niente di meno rispetto ai francesi, che fanno solo marketing”, quelli che “tanto si sa che loro ci mettono lo zucchero, noi no”.

Autoctono. Terroir. Ampliamento delle frontiere degustative. Uhm, effettivamente non suona male. Però, mannaggia, non riesco a ricordare (Quarto e Sorbo Serpico a parte) dove ho visto una pupitre o un’autoclave negli ultimi 3-4 anni di scorribande per la mia regione. Recupero allora le bottiglie e do un’occhiata alle retroetichette. E “scopro” che, esattamente come un lustro fa, tutti gli spumanti che assaggeremo (fatta eccezione per quelli di Grotta del Sole) recano la stessa indicazione.
“Elaborato per conto di – nome azienda – da – codice” (vedi foto). All’interno di quel codice c’è una sigla che fa riferimento alla provincia in cui è ubicata la struttura produttiva che ha seguito il processo di spumantizzazione. Largamente maggioritaria la TV di Treviso, ma non manca l’AT di Asti, bilanciata da almeno un NA di Napoli.

Territorio. Valorizzazione. Personalizzazione. Certo, vale la pena di ragionarne ancora.
O forse, almeno per una volta, ci si può ispirare al mio amico Pico M. Coombe, che a questo punto aggiungerebbe semplicemente: “Ma di che cosa stiamo parlando?”

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