
Inutile ripetersi: l’annata gli può modificare l’outfit, ma non intacca minimamente quel che c’è dietro il vestito. Sempre e comunque ossa e spuntoni, roccia sopra e mare sotto. Mare che non ha bisogno di essere visto per sapere che c’è, mare alle spalle perché non si accorga di orrore, vergogna e stanchezza finale, mare che si carica di ogni peccato come un ragazzo su una croce.
E allora soltanto la foto scattata nella stessa stagione per inquadrarne l’umore e immaginare quando stappare la bottiglia successiva. Sicuramente più vibrante e coeso dell’imbizzarrito balcanico 2019 incontrato nel pronti via. Piuttosto un fratellastro del 2018 per parte di padre: sebbene non abbia la medesima idrossigenata purezza, sebbene rilasci una densità di salagione perfino superiore.
Non c’è possibilità che un vino come questo possa stancare e annoiare quelli annoiati e stancati da mille bianchi tutti uguali, senza bisogno di brandire artigianalità naif o naturalità laissez-faire. Non il più ampio, complesso, potente, martellante, ruotapavonico, saturante, profondo, eppure un grande bianco mitteladriatico ogni benedetta volta capace di lasciare il segno, senza neanche riuscire a capire bene il perché.
