
Per non dimenticare le bottiglie stappate e farci compagnia a distanza. Aspettando, rinchiusi tra casa e cantina, che passi la bufera; esorcizzando virus vecchi e nuovi, e sognando l’inizio di un mondo migliore.
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Bevo troppo in questi giorni? Può darsi, ma soprattutto bevo in maniera diversa. E’ come se la lentezza cui sono costretto, o meglio la monotonia di giornate che finiscono tutte per assomigliarsi, mi avesse fatto riscoprire una certa idea quotidiana del vino.
Penso a mio nonno, al modo incredibilmente regolare che aveva di bere. Penso a un tipo di consumo che un po’ si è perso, almeno da una certa generazione in avanti. Per riadattarmi e sostenere la faccenda, oltre alle bottiglie, ho bisogno di vino sfuso. Quello che era la damigiana di mio nonno è per me il bag in box.
Per voglia e una certa idea di sostegno alle cantine della zona, ho fatto un ordine a Giovanni Cenci, vignaiolo capace a San Biagio, sui colli perugini, che poco fa mi ha consegnato tre confezioni da 5 litri del suo Grechetto ’18. Giovanni ci sa fare col Grechetto, se non l’avete provato ve lo consiglio.
Lo bevo in un bicchiere da vecchia osteria, senza fronzoli, accompagnandolo al pasto. Sa di pulito e di buono, di frutta gialla maturata al sole e cantina. Ha un sorso appagante, per certi versi generoso, e invita a berne ancora. Non vuol dire più di quel che sa. Sarebbe piaciuto anche a mio nonno.