
L’articolo che segue è stato pubblicato sul mensile Gambero Rosso (anno 28, numero 328, Maggio 2019): è il racconto di una due giorni entusiasmante passato lo scorso dicembre con la famiglia Cataldi Madonna e il loro enologo consulente Lorenzo Landi tra la cantina e le vigne di Ofena (AQ). A fare da filo conduttore una profonda verticale dedicata al “più rosso dei vini rosa italiani” e alla sua interpretazione più originale ed estrema: il Cerasuolo d’Abruzzo Pié delle Vigne (14 annate tra 1997 e 2016).
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Sono sempre più rari in un mondo polarizzato. Eppure a cercar bene esistono ancora, i vini-ponte. Capaci di tenere insieme ispirazioni e prospettive non solo diverse, ma sotto molti punti di vista opposte. Chiamati a concretizzare incontri impossibili ma tremendamente reali: tra passato e futuro, bianco e rosso, maschio e femmina, nel caso del Cerasuolo Pié delle Vigne.
Senza dubbio l’etichetta che meglio sintetizza la visione creativa di Luigi Cataldi Madonna, professore di Filosofia e imprenditore vitivinicolo nel comprensorio aquilano di Ofena. Debutta ufficialmente con la vendemmia 1997, stesso anno in cui muore papà Antonio e Luigi si ritrova responsabile a tempo pieno dell’azienda avviata verso la fine degli anni ’60. «Non è certo un caso che il Pié delle Vigne prenda forma in un momento così delicato di passaggio generazionale ed esistenziale», confessa. «L’idea era quella di recuperare una procedura tradizionalmente adottata dai contadini della zona per la produzione del vino di casa e creare allo stesso tempo qualcosa di nuovo e di unico, che sfuggisse ad ogni riferimento schematico».
La chiave tecnica è individuata nella cosiddetta “svacata”: da vaco (acino), consisteva sostanzialmente in un taglio tra la quota maggioritaria di uve rosse vinificate in bianco e una piccola parte macerata con le bucce per qualche giorno. Opzione empirica derivante dalla necessità di rinforzare colore e struttura in vini spesso fragili a causa delle particolari condizioni pedoclimatiche e delle conseguenti difficoltà di maturazione per varietà tardive come il montepulciano. «La conca di Ofena è un vero e proprio anfiteatro circondato da montagne che dovete immaginare come una specie di forno con annesso frigorifero», chiarisce Luigi. Si tratta infatti di un altipiano caratterizzato da temperature diurne decisamente elevate nel periodo estivo, ma anche da escursioni termiche estreme per la sua collocazione alle pendici del Corno Grande (il picco più alto del Gran Sasso) e a ridosso del Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa.
Le uve utilizzate per il Pié delle Vigne arrivano dal blocco adiacente alla cantina, una parcella piantata nel 1990 che si posiziona intorno ai 370 metri di altitudine su terreni di origine calcarea, con strati superficiali di medio impasto a colorazione chiara, ciottolosi. La raccolta viene effettuata solitamente nella prima metà di ottobre in due passaggi, a distanza di 3-5 giorni, cominciando dal montepulciano destinato alla sola pressatura per chiudere con quello macerato sulle bucce (circa il 15-20% del totale).
Non si comprende fino in fondo la doppia anima del Pié delle Vigne senza calarla nel contesto ambientale, insomma, ma la sua scintilla vitale è puro punk. Se il protocollo più o meno codificato della svacata prevedeva il blend “a valle”, dopo una serie di prove Luigi decide di adottare un nuovo sistema. Lo definisce “innesto biologico”: le due masse lavorate separatamente vengono unite a metà delle rispettive fermentazioni, completate quindi insieme.
«Ne viene fuori in tutto e per tutto un vino androgino, ermafrodito, anzi transessuale», scherza ma fino a un certo punto. «Sono due nature speculari che si congiungono quando le loro caratteristiche genetiche sono già per metà formate: la parte femminile della vinificazione in bianco e quella maschile della macerazione. E’ soltanto una questione di pesi, la sessualità pura non è di questo mondo e, se si crede all’Angelo Incarnato di Leonardo da Vinci, forse nemmeno dell’altro». Passando in rassegna i primi vent’anni di Pié delle Vigne, si palesa nitidamente il suo dna da mutante, continuamente riscritto da questo incontro-scontro tra forza divergenti. E restituito da una batteria in forma smagliante: Cerasuolo non soltanto integri ma ancora pienamente sul frutto, piacevoli e sfaccettati.
«L’innesto a mezza via tra le due masse non è stato magari concepito in funzione della longevità», sottolinea l’enologo Lorenzo Landi (consulente di lungo corso a Cataldi Madonna), «ma nella pratica può aver contribuito ad allungargli la vita». A dimostrazione che in Italia si possono realizzare, eccome, rosati di fibra e prospettiva. Destinandovi le uve migliori nonché modelli interpretativi ad hoc, come per il cru di Cataldi Madonna. Vino che ha cambiato pelle più volte nel tempo, in alcune fasi appoggiandosi maggiormente sulla parte bianca, in altre immaginandosi come un Cerasuolo “classico”, in altre ancora assomigliando piuttosto a un rosso appena scarico, ingentilito dal taglio con la quota senza bucce.
Dunque versioni dichiaratamente “primaverili”, giocate sui toni pastello di fiori ed erbe officinali, accanto a letture quasi “autunnali” per i prepotenti apporti terrosi e speziati. E tutto quanto c’è nel mezzo: Pié delle Vigne sottili e delicati, duri e verticali, golosi e avvolgenti, vigorosi ed austeri. Quelli che ricordano certi rosa di Provenza, più Tavel che Bandol, quelli che si mimetizzano con tipologie nobili di Beaujolais e Côte Chalonnaise, quelli che in ultima analisi non assomigliano a nulla se non a sé stessi. Come nelle intenzioni dei suoi artefici, del resto: Luigi, ma anche la giovane figlia Giulia che da qualche anno lo affianca in pianta stabile nel lavoro di cantina.
E sicuramente non è un caso che la molteplicità identitaria del Pié delle Vigne si sia ulteriormente manifestata col suo coinvolgimento in azienda. Le migliori riuscite si distribuiscono sull’intero arco temporale, ma ci sono pochi dubbi sul fatto che le ultime (in particolare 2010, 2015 e 2016) rappresentino un po’ la quadratura del cerchio. Godibilissimi fin da subito ma presumibilmente in grado di invecchiare a lungo come i loro fratelli maggiori, perfetti per ogni tavola, stagione e momento della giornata: colazioni e merende estive in primis, serviti freschi. Un tocco aggiuntivo di sensibilità e pragmatismo femminile che lo rende oggi più che mai un grande vino-ponte: anche e soprattutto tra un padre e una figlia.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 1997
Il ’97 è il primo “vero” Pié delle Vigne, dopo gli esperimenti delle vendemmie precedenti. Ed è subito partenza col botto: a distanza di oltre vent’anni lo incontriamo totalmente integro, su toni di fiori bianchi, erbe officinali, susina, un tocco di pompelmo ad anticipare il profilo teso e scattante. Nulla di crudo o irrisolto, anzi: continuamente alimentato dalla vigorosa scia salina e affumicata, si espande con grazia e dolcezza.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 1998
Annata decisamente più capricciosa ed irregolare, la ’98, che si fa sentire soprattutto nelle timbriche terziarie di maraschino, cuoio conciato, legno antico. La bocca ci consegna tuttavia un Cerasuolo ancora vivo e confortevole, senza derive ossidative: c’è sapore, rotondità di frutto, riconoscibilità varietale e poco importa se trama e complessità non sono quelle delle versioni super.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 1999
Al lordo della singola bottiglia stappata, magari non la migliore possibile, è il Pié delle Vigne più evoluto della verticale. Ma anche in questo caso non aspettatevi un ’99 irrimediabilmente disgregato a cui approcciarsi più che altro per curiosità: gli apporti di agrumi canditi, fiori secchi e luppoli ne sottolineano il nerbo e perfino una certa durezza, legata anche alle spiccata presenza tannica.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2000
La 2000 ha fama di vendemmia asciutta e bollente, nel circondario di Ofena fu invece più fresca e umida della precedente. Ne scaturisce comunque una versione “intermedia”, con sensazioni calde e mature di prugna, ciliegia in confettura, spezie piccanti, in parte smentite da una bocca più dritta e vigorosa. Si rinfresca ulteriormente con l’ossigeno, aggiungendo polpa e sapore alla solida scia tannica.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2001
Nel gioco maschio-femmina esplorato con le varie modulazioni della “svacata”, il Pié delle Vigne ’01 sembra appoggiarsi maggiormente sulla parte macerata in rosso. Nette fin da subito le nuance di mora, pepe nero, china, grafite, progressivamente mitigate da tocchi di erbe medicinali e bergamotto. Un tratto “rodaneggiante” che si conferma nel sorso: forza, spessore e un generoso abbraccio alcolico.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2002
Basta dare un’occhiata ai dati climatici per rendersi conto di come il cosiddetto “forno d’Abruzzo” rappresenti davvero un distretto a parte. Pensiamo per esempio alla famigerata annata 2002, che ad Ofena ha plasmato una delle riuscite più convincenti del Pié delle Vigne. E’ ancora giovanile tra frutti di bosco, piante silvestri, humus, con apporti di arancia e balsami più evidenti in un palato tonico, vitale, elegante.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2003
L’unicità del comprensorio è ulteriormente testimoniata dal millesimo 2003: sulla carta torrido e siccitoso, nella realtà più piovoso del predecessore ai piedi del Calderone. Si spiega anche così la brillantezza aromatica di una versione tutta giocata su toni dolci di melograno, mirto, buccia d’arancia, ravvivati da suggestioni di prato fiorito e legna arsa. Manca solo un plus di spinta finale ad una bocca comunque ampia, carnosa e salmastra.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2005
Complice una vendemmia a dir poco complicata sul piano meteorologico ed agronomico, il 2005 è per molti versi un Pié delle Vigne interlocutorio. Ma al contempo significativo per come introduce una nuova finestra (seconda metà degli anni 2000), in cui appare nelle intenzioni produttive più vicino ad un rosato “classico”: soprattutto al naso (fiori di campo, timo, mela), là dove il sorso si snoda fin troppo crudo e severo.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2006
Senza dubbio il più carismatico e completo fra i Pié delle Vigne dell’era “di mezzo”, il 2006: impatto quasi primaverile di frutti bianchi e rossi, una finissima speziatura di pepe rosa in sottofondo, richiami floreali e iodati ad aggiungere profondità. Ideale preludio ad un palato dolce e vellutato, apparentemente sottile ma ricco di sapore: eccola, quella identità “transensuale” che rende unico il cru di Cataldi Madonna.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2008
Anche il 2008 rende pieno merito alla fase “bianca-femminile”: pronti via con un tripudio di erbe officinali, arbusti mediterranei, spezie piccanti, ad accompagnare un frutto allegro e goloso. Senza dubbio l’interpretazione espressivamente più vicina ai grandi rosa provenzali, anche nel profilo gustativo: solare ma non accaldato, carnoso e salato, prima del lungo finale all’insegna di iodio e balsami.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo Pié delle Vigne 2009
Si cambia nuovamente registro con un 2009 di stampo “sudista”. Sequenza di amarena, liquirizia, brace, ingentilita con l’areazione da richiami di iris e violetta: perfino vinoso ancora, coniuga personalità e concretezza nel sorso più caldo ed orizzontale del consueto ma altrettanto saporito. Nei salti espressivi di un vino che resta comunque estremamente riconoscibile, c’è tutto il divertimento di questa verticale.
Cerasuolo d’Abruzzo Pié delle Vigne 2010
Più che vino-ponte, un super viadotto: il Pié delle Vigne ’10. Ribes, mirtilli, plastilina, tisana di erbe e agrumi, camino spento, resine di pino, risacca, aromaticamente è l’incontro perfetto tra inverno ed estate, nord e sud, Appennino e Adriatico. E la bocca non è certo da meno: leggiadro ma incisivo, carico di energia, supportato da una preziosa spalla sapida. Grande versione, che mette d’accordo cervello e cuore.
Cerasuolo d’Abruzzo Pié delle Vigne 2015
Fragola, ciliegia, lampone, umori terrosi e silvestri, suggestioni di radici e spezie scure: il 2015 è un Pié delle Vigne dichiaratamente “rosso”, non solo per il colore più carico rispetto alle versioni precedenti e alla gran parte degli altri Cerasuolo abruzzesi. Veste a dir poco originale che lo rende più che mai un grande jolly gastronomico: avvolgente e dinamico, robusto ma al contempo scattante, funziona dall’aperitivo al caffè.
Cerasuolo d’Abruzzo Pié delle Vigne 2016
“In medio stat virtus” è la bussola aristotelica che ha guidato la famiglia Cataldi Madonna e plasmato il Pié delle Vigne come un autentico pezzo unico di fusione fra opposti. Aggiungiamo “dulcis in fundo”, perché il 2016 rischia di essere anche il più completo e trasversale di sempre. Tripudio di frutti rossi e neri, droghe assortite, suggestioni silvestri e marine, tiene insieme l’intensità saporosa di un grande vino mediterraneo con la finezza tannica e nervosa dei migliori nordici.