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Full Immersion Campania #3 | Taurasi

collage taurasi apertura

Prosegue la Full Immersion Campania featuring Degustazioni dal Basso: terzo appuntamento, interamente dedicato al Taurasi.

Serata da montagne russe, come spesso accade quando c’è di mezzo l’aglianico. Alti e bassi espressivi solo in parte riconducibili alle tante variabili territoriali, interpretative e millesimali approfondite in parallelo coi singoli assaggi.

Per l’ennesima volta i Taurasi lasciano una trasversale sensazione di sospensione. Forzando ma non troppo, sembra raccontarsi una tipologia “strutturalmente” refrattaria alle vie di mezzo. Per la serie tutto o niente: vini grandi oppure trascurabili, in buona sostanza.

Una sorta di codice binario. Distanze tra le migliori riuscite e il gruppone: più ampie che altrove. Ma allo stesso tempo un confine sottilissimo che separa l’imprescindibile dal residuale. Come se davvero bastasse un niente a trasformare il potenziale purosangue in ronzino; un Taurasi maestoso in liquido inutilmente ostico. A conti fatti respingente tanto per il neofita quanto per il palato più allenato.

Diversamente dal solito, allora, segue qualche nota sintetica esclusivamente sulle bottiglie apprezzate pressoché all’unanimità. Quelle che, come si dice in questi casi, da sole varrebbero il viaggio. Per riconciliarsi con la denominazione o amarla con ulteriore slancio nella sua dimensione presente, a seconda dei punti di vista.

Taurasi Coste 2011 – Contrade di Taurasi

Vince agevolmente, un déjà-vu, la “sfida” col quasi-gemello pari annata della famiglia Lonardo. Taurasi di Taurasi entrambi, ma provenienti da due settori molto diversi del comune: il pianoro sud-orientale per il Vigne d’Alto (contiguo a Piano d’Angelo), il pendio a nord del borgo per il Coste. Che si mostra da subito chirurgicamente definito negli apporti di chinotto, alloro, curry, coniugando spalla sapida e qualità di succo. Accelera poi nel ritmo gustativo grazie alla pregevole scia agrumata e al tannino cesellato.

Taurasi 2010 – Pietracupa

Arriva invece da Campo Ceraso di Torre le Nocelle il vino che più di tutti, tra quelli di scena, supporta le chiacchiere teoriche sui caratteri espressivi delle varie zone. «I Taurasi del settore nord-ovest – riva sinistra del fiume Calore, sono solitamente meno arcigni e potenti rispetto ad altre aree, riconoscibili per il profilo fruttato suadente, la speziatura delicata, la silhouette snella ed armonica». E quando è il momento di giocare alla cieca, le indicazioni del bicchiere portano dritti alla risposta “giusta”: il Taurasi di Sabino Loffredo, nella sua migliore riuscita di sempre per facilità di beva, energia salina e grazia tannica, come sottolinea l’amico Mauro Erro qui (link).

Taurasi Poliphemo 2008 – Tecce

A proposito di best ever, il 2008 si conferma il Poliphemo di Luigi Tecce che più amo e continuo ad amare. Non è stata la bottiglia più esplosiva tra quelle stappate anche recentemente, non ha mostrato il cambio di passo fulminante di altre occasioni. Ma ha saputo ugualmente prendersi il suo momento, tempo di qualità; l’inquietudine dell’autore, la sincerità del disegno, la nordica solarità di Paternopoli, senza nulla di programmatico. Gronda empatia eppure parla la lingua dei dispari: è Valdo Ardiles che jazza o John Coltrane che scavalca Vinny Jones in bicicleta, se preferite.

Taurasi Riserva 2006 – Michele Perillo

In questo caso mi riservo di non decidere mai: il miglior Taurasi di Michele e Felice Perillo da Castelfranci è quasi sempre quello che ho davanti, a prescindere dall’annata. E però un motivo deve esserci se la Riserva 2006 è stata per molti “la” bottiglia della serata: versione monumentale sia nel tripudio terroso e iodato, sia nella profondità tattile della sua forza propulsiva. Ci sopravvivrà.

Taurasi Radici Riserva 1999 – Mastroberardino

Vino finale, in tutti i sensi. Ultima tappa del nostro breve denso viaggio a tema. Ma anche quello che chiude cronologicamente un secolo ed idealmente un’epoca, dentro e fuori il bicchiere. Memorie del Taurasi al singolare, figlio di tanti avamposti ma con una sola vera casa: ad Atripalda. Il Taurasi fattosi mito attorno all’epica dei ’28, ’34, ’47, ’58, ’61, i cru ’68 e decine di altre riuscite che proprio non vogliono saperne di consegnarsi all’eno-archeologia, nonostante i decenni alle spalle. Il Taurasi ossimorico della barbarica eleganza, della senile giovinezza, della sorridente severità, che rende un po’ meno sciocchezza il mantra “Barolo del sud”.
Intendiamoci, versioni successive come 2001 e 2004 (o per altri versi 2003 e 2006) sono analogamente rappresentative di una precisa eredità familiare e stilistica. E però appartengono in tutta evidenza alla nuova stirpe, allevata in un tempo scoperto collettivo dalla sera alla mattina. C’entrano poco o niente le questioni tecniche: è il “tono di voce” e il respiro che collocano invece la Riserva ’99 nell’altro millennio. Un autentico rosso analogico, immortalato da reflex e stampato su pellicola, colto proprio in quell’attimo dove si confondono ricordi e rimpianti.

Bonus Track | Ognostro 2010 – Marco Tinessa

Perché l’aglianico irpino del 2000 assomiglia terribilmente ad un animale selvaggio che deve re-imparare a camminare. Ben vengano, allora, jolly come questi. Che si vestono da freak (titolare sannita di stanza in Lombardia, vigne a Montemarano, uve trasportate in camion frigo sull’Etna e lavorate da Frank Cornelissen fino al 2015, 2 anni e mezzo di terracotta) per esplorare nuove vecchie strade. Fisioterapia della bevibilità. E poco importa se lo schema espressivo non è quello (supposto?) grammaticalmente ortodosso: nello Ognostro 2010 vince la naturalezza del ristoro e del gesto di una bottiglia che si svuota macchiando la tovaglia, prima ancora di quella rivendicata in virtuali manifesti filosofici.
Full Immersion Campania – Le puntate precedenti

Full Immersion #1 | Provincia di Caserta
Full Immersion #2 | Provincia di Benevento

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