
Ormai più che partecipare agli eventi del vino compio dei veri e propri blitz. Incursioni rapide e chirurgiche, poche ore per smentire o confermare le impressioni passate e cominciare a farmi quelle future.
Scappate da commissario tecnico che va allo stadio all’ultimo minuto e parte presto, curante solo dell’indispensabile; una specie di Boniperti che lascia le tribune alla fine del primo tempo.
L’ultimo stadio è stato quello dell’ormai defunta Enoteca Italiana di Siena, per un evento che invece è vivo e vegeto: Sangiovese Purosangue.
Dalla Fortezza Medicea porto a casa fogli di appunti sparsi. Comincio a sistemarli dall’adorato Chianti Classico, zottozona per sottozona, riservandomi di mettere mano agli altri in futuro.
Eccoli:
Da Greve – Montefioralle, buone impressioni sull’evoluzione stilistica dei vini di Villa Calcinaia. Il Chianti Classico ’14** è giustamente nervoso ma ben ricamato da piccoli frutti rossi, la Gran Selezione Vigna Bastignano*** di pari annata più materico, speziato e boschivo ma ugualmente infiltrante.
La sottozona Lamole, in realtà capace di disegnare un terroir a sé stante, mostra un Fontodi Filetta ’14*** meno tostato rispetto alla versione d’esordio. Vino intrigante che fa pensare a un village borgognone: silvestre, lievemente foxy, certo non immenso e con un sorso che frena nel finale ma nel complesso centrato. Molto curioso di sentire cosa ci dirà il 2015. Più aperto, su toni di rosa e fiori secchi il Chianti Classico ’14 di Castellinuzza**, saporito e affilato come d’uopo.
Panzano, stesso comune ma storia opposta. Trovo ancora una volta deliziosi i vini Monte Bernardi, lontani dalle ridondanze estrattive e fruttate di molti colleghi di zona. Rossi che mi rapiscono per l’impronta aromatica terragna e floreale, molto autentica, per il sorso scaltro quanto denso di sapore e i toni sassosi. In particolare il Retromarcia ’15***** che, a dispetto del nome, scatta in avanti e tira la volata come pochi. Lo voglio.
In Val d’Elsa il Poggio di Monsanto ‘13****, capostipite dei cru chiantigiani, ha qualche esuberanza tostata giovanile e un tannino marcato. Niente paura, come al solito il vino uscirà alla distanza, quando il tratto ematico – minerale non farà più solo capolino. E’ già splendida, invece, la Riserva Borro del Diavolo ‘13 Ormanni****, avvolgente e delicata, giusto un pizzico tannica ma dal fantastico sapore chiantigiano.
E veniamo all’attesissima Radda, forse la menzione più à la page di tutta la denominazione. Mi è piaciuta la Gran Selezione ‘13**** di Castello di Radda, un classico – contemporaneo succoso e verticale, impreziosito e mai appesantito da una sensazione tostata in via di integrazione. Continua a brillare la stella della giovane vignorenne Angela Fronti, una specie di Cécile Tremblaly chiantigiana che sta portando la sua cantina, Istine, nel firmamento delle migliori. Il Chianti Classico ’15**** è un goloso tripudio di frutti rossi e neri, sensazioni di macchia e cenni balsamici. Mi è sembrato interessante anche il 2015 de L’Erta di Radda, azienda che conosco poco ma capace di un vino dal tratto scuro, mediterraneo, ricco di liquirizia e spalla. Da riassaggiare tra un po’. Superiore a test del passato il Chianti Classico Castello di Monterinaldi ’14***: sfumato, autunnale, rigido ma saporito nell’intelaiatura tannica.
Ecco ora alcuni dei vini più buoni dell’intera degustazione. Il duo meraviglia firmato Montevertine mi permette di tornare su un Pian del Ciampolo ’15***** che, come avevo già detto, fa superare la sua proverbiale sindrome, tanto è appagante e compiuto (segno che le annate temperate fanno bene a questa etichetta, come dimostra un 2007 pimpante e in piena forma). Montevertine ’14**** se la cava, considerando le magrezze del millesimo. Gioca coi fiori e il fioretto, compone con la materia che si ritrova. Alla fine la spunta ma le grandi annate sono altra cosa. Scintillante il Chianti Classico Val delle Corti ’15*****, altro vino che non posso fare a meno di avere in cantina. Ha frutto dolce e rigoglioso, con la tipica sfumatura gialla dei sangiovese maturi, ma è letteralmente trascinato da una vibrazione acida dirompente. Vino di spalla, di buon abbraccio alcolico e finale siderale. Prenderà ancora po’ di sapore con la sosta in bottiglia e allora sarà puro godimento.
Scendendo verso la parte bassa di Castellina, segnalo luci nuove a Bibbiano. L’azienda è di quelle centrali nella storia della zona, capace di marcare una precisa riconoscibilità dell’areale di pertinenza. Col Chianti Classico 2015*** i fili del passato sembrano cominciare a riannodarsi. Vino territoriale, maturo ma dettagliato, palato dinamico quanto ricco di succo, tutto sommato agile anche se l’alcol finale fa capolino (del resto anche questo è definibile come territoriale, a mio parere). Su un altro versante del comune, splende la stella Villa Pomona, con menzione particolare per il Chianti Classico 2015*****. Lo comprerò di sicuro: profuma di terra, rugiada e ciclamini. Un inno alla primavera, al risveglio e alla gioia di vivere; brillante e sfumato in bocca, viaggia su coordinate di sapore che rinunciano a qualsiasi orpello materico. Forse il vino più nelle mie corde dell’intera degustazione.
Chiudo con Castelnuovo Berardenga. Brevemente, purtroppo. Sarà che erano gli ultimi della lista, o forse che mancava qualche fuoriclasse della zona, sta di fatto che nessun assaggio mi ha folgorato. “Sarà forse perchè è storia, sarà forse perchè invecchio”, come dice Guccini, ma vorrei tanto ritrovare “quello che provavo prima” in un bicchiere di Rancia o Fontalloro.
Trovo interessante che gli unici tre Chianti Classico (ivi incluso il Pian del Ciampolo) valutati a ***** siano dei base 2015, che vanno così a scavalcare quelli che per molti sono dei mostri sacri, come la Riserva Borro del Diavolo ‘13 Ormanni**** e la Riserva il Poggio di Monsanto ‘13****.
Ho l’impressione che questo sia legato a una valutazione estremamente positiva dell’annata per questa denominazione, condivisa da altre (o in parte stesse?) voci critiche — vedi il numero senza precedenti di Chianti Classico 2015 premiati dalla guida del Gambero Rosso.
Come per tutte le annate estreme (in questo caso particolarmente calda), è bene segnalare che le valutazioni tendono a divergere: circolano infatti in rete valutazioni di segno opposto di alcuni di questi stessi 2015, e della loro superiorità assoluta rispetto a vini di categoria superiore di altre annate. Sarà bene secondo me anche valutare la tenuta nel tempo di questi 2015 “abarth”, dato che alla partenza in quarta spesso non segue una lunga e proficua vita in bottiglia (proficua nel senso della crescita, non della stasi).
Peccato che manchi una sede adatta per fare queste valutazioni della tenuta e della crescita delle annate nel corso del tempo, per esempio una rivista seria sul vino come la revue du Vin de France di oltralpe. Certo la folla di guide che attualmente impegna tanta parte della nostra critica vinicola non sono la sede adatta per valutazioni ponderate a distanza di tempo.
Intanto per non saper ne leggere ne scrivere visto che e’ piaciuto tantissimo sia qui che sul forum che da altre parti io ho fatto scorsa di Val delle Corti 😀 Aspettando che esca la riserva.