
Questo borgogneggia e quell’altro sembra un riesling. Potrei continuare all’infinito ma credo che il concetto sia chiaro.
Tutti noi dell’enocirco, più o meno, paragoniamo certi vini ad altri; riferimenti codificati che servono a farsi capire, individuando al volo il cassetto stilistico in cui collocarli e creando una base di riflessione.
Giusto? Sbagliato? Non saprei. Spesso funziona ed è certo che tra appassionati, monomaniaci e scribacchini di professione, è pratica diffusa.
Ci sta che la cosa possa dare fastidio e non mancano le levate di scudi. I contestatori parlano di sudditanza e di una certa forma di colonialismo enoico dei più forti. Basta con questi francesi e non provare a dire un’altra volta Barolo del sud! Abbiamo una dignità, eccheccavolo.
Giuro che ci starò attento in futuro e che questa è una delle ultime volte, però non riesco a non paragonare due vini che mi hanno fatto vibrare le papille, ultimamente. Sarà per l’impostazione e la silhouette, per l’immediato piacere che sono capaci di dare, la natura intrinsecamente gastronomica o il quadro aromatico. Di sicuro il Morgon Côte du Py di Jean Foillard ’13 (bevuto il 24 Ottobre da Roscioli, a Roma) e il Cesanese Superiore Silene ‘14 di Damiano Ciolli (sgargarozzato a Perugia il 22 Novembre) hanno qualcosa in comune.
Quando ho assaggiato il primo, sono stato giorni a cercare di dare un nome al profumo che avevo sentito. C’erano i soliti fruttini rossi e neri, certo. E poi qualche accenno speziato, molto delicato per la verità. Il tratto più originale e curioso però era un altro. Non so ancora definirlo bene però è qualcosa di silvestre, tra il vegetale e il resinoso. Quasi un’idea di aghi di pino e linfa di albero. Un richiamo fortissimo, per me.
Lo stesso, fatte le dovute proporzioni e i bla bla bla, che ha tirato fuori il delizioso Cesanese. Che infatti ha subito acceso la lampadina.
Sarà solo suggestione o paura di chissà che? Per esserne sicuro li riberrò entrambi molto presto…
Soprattutto con i buyer stranieri: associare un nostro vino a una tipologia straniera pare che non stia bene. Addirittura dire che un determinato vigneto è il Romanée Conti o il La Tache di una denominazione, intendendo appunto dire che è il più famoso, il migliore, quello con la reputazione più consolidata, spesso suscita nell’interlocutore un certo fastidio. Per cui bisogna stare attenti. E comunque anche per me è indubbio: questi due vini fanno parte della medesima squadra.