
Ovviamente non si è bevuto solo il Clos d’Ambonnay ’96 (link).
E allora qualche rapida impressione sulle altre “sfide” (dopo Krug Vs Bancoposta) in programma:
Les Clos Dauvissat Vs Meursault Tessons Clos de Mon Plaisir Roulot 2010
Pari e patta, fondamentalmente. Dauvissat più profondo e infiltrante al naso, Roulot comprensibilmente più ampio ed armonico nel sorso. Il cuore dice Clos per i lampi marini e la sensazione finale che sia solo più indietro del Tessons, ma in generale era lecito aspettarsi di più da un match da Europa League, più che da Champions.
Voto partita: 6+
Barolo Poderi dell’Antica Vigna Rionda Tommaso Canale 2008 Vs 2007
Foglio di Mappa n. 8 Particella n. 251 P: la stessa indicazione che troviamo oggi sulle etichette firmate Ester Canale Rosso, dell’azienda di Giovanni e Davide Rosso, “eredi di maggioranza” delle parcelle che hanno contribuito in passato ai Rionda di Giacosa, Giuseppe Mascarello e Roagna (Sergio Germano e Guido Porro gli altri beneficiari).
Due delle ultime versioni imbottigliate dalla vecchia proprietà, quindi, anche per questo di enorme valore emozionale, in fin dei conti rispettato da quello puramente espressivo. Il 2007 sconta qualche traccia vegetale e al contempo evolutiva (netta pummarola da sugo), il 2008 è più arioso ed energico. E per entrambi c’è solo il tannino un po’ troppo rugoso a frenare l’espansione finale.
Voto partita: 7,5 (media tra il 7 della qualità di gioco e l’8 dell’intensità da derby)
Barolo Monprivato Cà d' Morissio Riserva Giuseppe Mascarello Vs Barolo Monfortino Riserva Giacomo Conterno 1995
Non è River contro Boca, ma resta un gran bel clasico di Langa, specialmente in annata da duri e puri come la ’95. Match meno equilibrato di altre volte, comunque, perché Morissio si conferma all’apice e Monfortino lo supera agevolmente in integrità, sfaccettature e allungo. Dopo di che non starei ad aspettare troppo nemmeno il cannibale conterniano: rispetto alle ultime stappate è apparso un po’ meno brillante e coeso, con una vena algida – o forse solo malinconica – ad accomiatarlo verso l’esofago.
Voto partita: 7-
Hermitage Chave Vs Côte-Rôtie La Mouline Guigal Vs Côte-Rôtie La Turque Guigal 2006
Niente male, questa versione in salsa nord-rodanesca del triangolare Birra Moretti. Che si decide ai calci di rigore, ad oltranza, praticamente senza un vincitore. Una specie di morra cinese, a ben vedere. Chave perde infatti la sfida dei nasi, schiacciato a lungo dall’impronta fortemente cavallifera, ma si riscatta prontamente con la solita progressione golosa e soave. Un erotismo caratterialmente estraneo al La Turque, che appare però come il più saldo e completo nella sua prepotente struttura. Là dove il Mouline guarda tutti dall’alto verso il basso sul tema “eleganza”, subendo in fisicità le ripartenze degli altri due e mancando un po’ di ferocia sotto porta. Il prezzo del biglietto non è esattamente popolare, ma lo spettacolo si rivela senza dubbio all’altezza.
Voto partita: 8
Tempi supplementari:
Sancerre Clos la Néore 2014 – Edmond et Anne Vatan. Bella bottiglia stavolta: niente scatola di piselli Bonduelle, solo tanto frutto bianco, agrumi ed erbe di vario genere e destinazione. E poi quella bocca “elettrica”, che distoglie immediatamente dalle considerazioni su varietale (presente) e corpo (medio-leggero). Ci ricorda che non è un concorso canino né un match di boxe, e che non ne abbiamo a sufficienza per farlo invecchiare come meriterebbe. Maremma cinghiala.
Trebbiano d’Abruzzo 2002 – Valentini. Non si è praticamente mosso di un millimetro, da quando uscì sul mercato (dopo il 2003, inversione non così rara a Loreto Aprutino), un paio di lustri fa. I supermostri, quelli che riescono a distinguere un’annata del Trebbiano di Valentini da un’altra, lo riconoscono probabilmente per il naso più fiorito che cerealicolo, e il sorso guizzante, che per una volta sembra preferire l’aliante all’aratro. Attenzione: carbonara contigiana non inclusa, l’abbinamento è presidio medico-chirurgico, se il sintomo persiste stappatene e cucinatene un’altra.
Vin de Savoie Mondeuse Tradition Prieuré Saint Christophe 1994 – Roselyne et Michel Grisard. Nulla ne sapevo prima che il broker bevitore Filobianco mi facesse incuriosire tipo gatto in calore, e non ne so di più adesso. So però che questi francesi sono proprio diavoli, perché non puoi approcciarti con sufficienza nemmeno davanti a una mondeuse savoiarda di venti e passa anni. Impronosticabili, a misurare la pimpantezza del frutto, la tonica compattezza del sorso, la beva facile ed appagante nonostante qualche vuoto di sapore e sostegno finale. Mi piace pensare che i migliori Piedirosso flegrei possano regalare sorprese così, quelle volte (poche per il momento, a mio avviso) in cui decidiamo di non coglierli in gioventù per custodirli con pazienza in cantina.
Château-Chalon 2008 – Macle. Lo so, siamo oltre la vergogna: per nessuna ragione andrebbe stappato quello che è in pratica uno spermatozoo di vino, perdipiù in vendemmia a cinque stelle. Sopravvivrà ai nostri pronipoti, non serve essere Nostradamus per capirlo. E non c’è bisogno dell’Ispettore Derrick per sapere che siamo dei criminali. Giuro però che non me lo ricordo, vostro onore, il momento in cui è stato commesso il delitto.
Per chiudere, un paio di Vin Santo Avignonesi (’89 e ’85), assaggiati in condizioni di definitivo disagio e quindi non raccontabili se non nella forma di “buono” e “più buono”. E poi birre, birre, tante birre: le uniche che potremmo (forse) permetterci da qui a poco. Infatti l’Old Fashioned finale fu fatale, per me e la stufa da esterni capitata senza colpa a portata di mano del neopapà di Pietro. Voto al coraggio che servirà al fanciullo: 10+