Avete presente quella faccenda dello strabismo di Venere? Che non c’è vera bellezza senza qualche piccola anomalia? E che la perfezione, oltre a non essere di questo mondo, alla lunga annoia e stanca?
Bene, sono tutte cazzate. O perlomeno frammenti di verità teoriche che non ce la fanno a superare lo scoglio scientifico del teorema di Haut Brion ‘89. Secondo il quale non è rinvenibile in tutta la galassia (e anche oltre) un essere vivente, specie vegetali e minerali incluse, fisicamente e spiritualmente capace di dire: “no, grazie” davanti ad una bottiglia del suddetto liquido venticinquenne. Esattamente il bicchiere che porterei all’Altissimo, al momento debito, senza fretta, per brindare alla sua immagine e somiglianza.
Asinate a parte, se è vero che il vino perfetto non esiste, Haut Brion ’89 è forse una delle sue migliori approssimazioni possibili. Lo so, è come dire che Maradona sapeva giocare a pallone e Jimi Hendrix se la cavava con la chitarra, ma gridarlo ad alta voce è solo un tentativo estremo di scansare la sindrome di Stendhal.
Si rimane paralizzati davanti ai capolavori, c’è poco da fare, tuttavia è un prezzo che si paga senza rimpianti. No, non mi riferisco al millino di euri oggi necessari (come minimo) per recuperarne un flacone. O forse sì, perché ogni dipendenza è schiavitù e bere un vino del genere è un po’ come perdere la verginità: nel tuo intimo lo sai che niente sarà mai più come prima, che l’età dell’innocenza è archiviata per sempre.
Il fanciullino che è in te ti farà ancora visita qualche volta, riderai e piangerai e ti emozionerai e ti dispererai di nuovo senza filtri, ma non potrai mai più ingannare la consapevolezza del tuo corpo e dei tuoi sensi.
Haut Brion ’89 è la bottiglia che ridefinisce ogni volta parametri, gerarchie e distanze. Che tu lo voglia o no. Che tu l’abbia già bevuta o meno. Come in questo caso: era il secondo incontro a distanza di cinque anni con “il più borgognone dei Bordeaux”, per riprendere una celebre definizione. La prova del nove, la più difficile, perché basta un nonnulla per rimanere delusi da una replica, perché competere con i ricordi più belli è impresa da supereroi.
Un’esperienza perfino più scioccante della precedente: bottiglia diversa ma tutt’altro che inferiore, anzi. Questa volta ha avuto solo bisogno di più tempo per aprirsi e le parole gioventù, integrità, inscalfibilità hanno preteso il centro del palcoscenico con maggiore veemenza.
Per il resto la medesima onnipotenza pentadimensionale rimasta conficcata nel mio cervello: un concentrato di frutti appena colti, di resine, balsami, agrumi, spezie orientali, l’urlo marino e il controcanto grafitoso, il sigaro, il catrame, la rosa fresca di giornata, e chi più ne ha, più ne metta, senza il minimo segnale di freddezza o immaturità.
E’ più di un arcobaleno aromatico, eppure nemmeno un naso così stratificato e multiforme riesce a spiegare davvero la quadratura millimetrica di una bocca assoluta in termini fittezza, forza motrice, armonia, velluto tannico e persistenza. Ha ancora 50 anni davanti, a voler essere prudenti e io mi indebiterò per copularci di nuovo.
Stasdera stappo un 88 poi ti dico…..
Allora…bottiglia in perfetto stato…..ancora note fresche di frutta e fiori con lievi cenni erbacei….grande beva,salina,minerale alla quale manca solo un pelino di lunghezza in oiu’ per entrare nell’olimpo.pari annata me ne rimane un altra.
d’accordissimo, Haut Brion ’88 lo ricordo esattamente così. 🙂